K metro 0 – Roma – I media della disinformazione pro-Cremlino questa settimana avrebbero agitato lo spettro di una nuova guerra, che potrebbe essere scatenata dall’Occidente nel 2022 in Bielorussia, o nel 2026 direttamente contro la Russia. Emerge dalla relazione della task force contro le Fake news (East StratCom Task Force), il gruppo che opera
K metro 0 – Roma – I media della disinformazione pro-Cremlino questa settimana avrebbero agitato lo spettro di una nuova guerra, che potrebbe essere scatenata dall’Occidente nel 2022 in Bielorussia, o nel 2026 direttamente contro la Russia. Emerge dalla relazione della task force contro le Fake news (East StratCom Task Force), il gruppo che opera nell’ambito del Servizio di azione esterna Ue, per contrastare la propaganda russa.
Dopo quello che è successo per l’Ucraina, verosimilmente potrebbe accadere anche per la Bielorussia ma in tempi molto più vicini di quanto si lascerebbe pensare.
Forse è un po’ presto per parlare di un nuovo “Guaidó” che gli USA starebbero cercando per la Bielorussia, ma è indubbio che in Occidente si stia lavorando da tempo al ricambio di colui che, tanto per rendere più credibile la faccenda, continua a esser definito l’ultimo dittatore comunista d’Europa: Aleksandr Lukashenko. L’ipotesi, se non attualissima, potrebbe puntare su giovani rampanti bielorussi, laureati o laureandi in Università statunitensi, ce ne sono una mezza dozzina, i cui nomi, per ora, non dicono un granché, allievi di istituti yankee o inglesi, come era stato a suo tempo per l’ex presidente georgiano Mikhail Saakashvili, o per più di uno tra gli ex presidenti sudcoreani, tutti formati secondo gli standard “democratici”, alla George Washington University, o come, adesso, per l’aspirante golpista venezuelano Juan Guaidó. D’altronde, gli ex-presidenti di Lettonia, Lituania, Estonia: Vaira, Vike Freiberga, Valdas Adamkus, Tomas Ilves, così come il nuovo premier lettone, sono addirittura cittadini di Stati Uniti o Canada.
In alternativa, si starebbe lavorando perché lo stesso Lukashenko prenda altre strade rispetto a quella dell’unione di “popoli fratelli” in uno Stato unitario Russia-Bielorussia. Le esternazioni d’amicizia ribadite sempre più spesso da Aleksandr Grigorevic all’indirizzo di Petro Poroshenko, non sembrano basarsi solo sulla “stima” personale, il che, già di per sé, non sarebbe proprio un gran segnale. La strada che il FMI ha disegnato a suo tempo per Kiev (le “raccomandazioni” rivolte a Mosca per la concessione di prestiti, per ovvie ragioni di disponibilità delle risorse naturali, riguardano altri settori: ad esempio, l’età pensionistica) diventa ora d’attualità anche a Minsk, in cambio dei prestiti internazionali.
Ecco dunque che si cerca di dimenticare le dichiarazioni d’un tempo di Aleksandr Lukashenko, secondo cui gli aumenti delle tariffe energetiche domestiche costituiscono un approccio antipopolare alla questione. Se ancora un paio d’anni fa, rispetto a tali aumenti, esclamava: “Non si deve agire così. Ciò avrebbe una risonanza pubblica negativa. Non capisco, voi governatori, insieme al governo, chi volete compiacere la vostra gente o certe organizzazioni internazionali?”. Oggi tace sugli aumenti richiesti dal FMI, mentre cresce il numero di famiglie costrette a ricorrere ai sussidi governativi, sempre più miseri. In compenso, il debito verso la Russia ha raggiunto i 6,5 miliardi di dollari; nel 2019 Minsk dovrà rimborsare a Mosca 2,6 miliardi e per farlo dovrà ricorrere a prestiti esterni da altre fonti, per ottenere i quali le verrà imposto dal FMI l’aumento delle tariffe per gas, riscaldamento, ecc.
È anche così, che si concima il terreno per l’affiorare di settori che, a quanto sembra, poco hanno da invidiare ai gruppi nazionalisti e neonazisti ucraini; e se, al momento, le loro azioni si limitano a invettive verbali e scritte contro chi, ai loro occhi, appare come russofilo o antifascista, l’ambiente non sembra dei migliori per arginare tali tendenze.
Il sito iarex.ru informa sui sempre più stretti contatti ufficiali tra dicasteri bielorussi e ucraini in diversi settori. Per Poroshenko, data l’inarrestabile calo di consensi interni all’avvicinarsi delle elezioni presidenziali, poter propagandare l’appoggio di Lukashenko costituisce una carta preziosa, vista la popolarità che gode in Ucraina. Da parte sua, il presidente bielorusso sembrerebbe attratto da certe scelte di Poroshenko, non ultima quella dello scisma nella chiesa ortodossa.
Sul tavolo, ci sarebbe un disegno di diversa dislocazione del centro del mondo slavo, basato sui due baricentri di Ucraina e Bielorussia, con la Russia presentata come un paese che ha perso la propria identità, avendo puntato su multietnicità, oligarchia e ambizioni imperiali.
In questo quadro, sulla scia delle battute iniziali del majdan e della strada seguita da Jushchenko-Janukovic-Poroshenko, anche a Minsk si comincia col limitare la diffusione della lingua russa. Ciò metterebbe in crisi il fatto che, attualmente, in Bielorussia, le lingue russa e bielorussa hanno pari status di lingue statali e che la stragrande maggioranza della popolazione è russofona. Dunque, il primo passo sulla strada ucraina, è l’obiettivo di garantire al più presto almeno il 30% di contenuti televisivi nazionali in lingua bielorussa; entro 10 anni, i testi degli internet-media dovranno assicurare il 100% di lingua bielorussa, compreso un 30% nel cosiddetto “latino polacco” (esempio di indicazione stradale a Minsk) e alcuni di essi si sono immediatamente adeguati. Il concetto di ‘ponte tra Occidente e Oriente’, imporrebbe una ‘violenta derussificazione’, per rendere più rapido ‘il percorso verso l’Occidente, il mercato, la democrazia e la libertà’.
Su tale percorso, pare si siano fatte più frequenti le attenzioni contro studenti che manifestano l’intenzione di proseguire gli studi in Russia. Stupisce, che ancora non si siano levate tante voci sul ‘rossobrunismo’ di Aleksandr Grigorevic Lukashenko.
Dunque, se la Russia dovesse attaccare militarmente la Bielorussia non sarebbe una sorpresa. Sarebbe un altro tentativo di Putin per espandere il controllo della Russia su tutti i Paesi dell’Europa dell’est recuperando quell’egemonia esercitata durante la guerra fredda.
di Salvatore Rondello