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Grecia-Macedonia, l’attenzione russa all’area dei Balcani

Grecia-Macedonia, l’attenzione russa all’area dei Balcani

K metro 0 – Atene – Violenti scontri hanno accompagnato la manifestazione svoltasi, ad Atene, per dire no all’intesa greco-macedone sul nuovo nome della Repubblica di Macedonia: intesa che il Parlamento greco dovrà ratificare entro la settimana entrante. Tra le 60 e le 100 mila persone si sono raccolte in piazza Syntagma, al centro di

K metro 0 – Atene – Violenti scontri hanno accompagnato la manifestazione svoltasi, ad Atene, per dire no all’intesa greco-macedone sul nuovo nome della Repubblica di Macedonia: intesa che il Parlamento greco dovrà ratificare entro la settimana entrante.

Tra le 60 e le 100 mila persone si sono raccolte in piazza Syntagma, al centro di Atene, rispondendo all’appello del “Comitato di lotta per la grecità della Macedonia”: 326 pullman provenienti da tutto il Paese sono arrivati ad Atene. Forze dell’ordine sul piede di guerra, con circa 2mila agenti dispiegati, secondo una fonte di polizia, oltre a droni ed elicotteri.

Nello specifico, il Parlamento greco deve decidere se ratificare o meno l’accordo firmato, a giugno 2018, dal premier ellenico Alexis Tsipras e dal collega macedone Zoran Zaev, che dispone il cambiamento di nome dello Stato macedone da “Repubblica ex-jugoslava di Macedonia” in “Repubblica della Macedonia del Nord” (il voto di Atene è atteso tra martedì 22 e mercoledì 23 gennaio). Andando parzialmente incontro alla Grecia (che ha sempre sostenuto di includere in realtà la Macedonia nei suoi confini, sin dai tempi di Alessandro Magno), quest’accordo cerca di accontentare ambedue i Paesi, evitando la denominazione di Macedonia “tout court”. Ad osteggiarlo, però, non sono solo i nazionalisti greci, ma anche – pur non ufficialmente, sul piano diplomatico – la Russia di Putin.

Nel complesso “progetto balcanico”, e più in generale europeo, della Russia di oggi, rientra non solo la sostanziale indifferenza del Cremlino alle aspirazioni dei 6 Paesi balcanici ad entrare nella UE, ma anche la contrarietà, appunto, alla composizione, dopo ben 27 anni, della vertenza tra greci e macedoni in merito alla denominazione della Repubblica di Macedonia nata, nel 1991, dalla fine della vecchia Jugoslavia.  L’ accordo Tsipras – Zaev, infatti, schiude alla Macedonia –sino ad ora importante partner della Russia nei Balcani del Sud – le porte di UE e NATO.

La ratifica parlamentare dell’intesa greco-macedone, comunque, non è sicura anche per altri motivi: il governo di Tsipras, infatti, è sull’orlo della crisi per le dimissioni, da ministro della Difesa, di Panos Kammenos, leader del partito nazionalista di destra, Anel, e partner governativo di minoranza. Dimissioni decise quando la Macedonia, pochi giorni fa, ha definitivamente approvato la riforma costituzionale per cambiare il suo nome.

Se l’esecutivo non otterrà la fiducia parlamentare, chiesta dal Premier sulla ratifica dell’accordo, Tsipras rischia la caduta del suo governo, e il Paese le elezioni anticipate.

A Belgrado, intanto, trionfale è stata l’accoglienza della popolazione a Vladimir Putin: migliaia di belgradesi, più altre migliaia di cittadini giunti dalle altre città serbe, con bandiere serbe e russe si sono radunate, in questi giorni, nelle strade del centro e intorno alla grande cattedrale ortodossa di San Sava, visitata dal presidente russo. Molti – come ha riferito l’ANSA – mostravano drappi e cartelli con l’effigie dei 2 Capi di stato, serbo e russo, e scritte inneggianti a Putin, alla Russia e alla storica amicizia tra i 2 Paesi.

Secondo gli osservatori, il massiccio raduno popolare è stato voluto dal presidente Alexsandar Vucic per dimostrare l’appoggio di cui gode il suo governo: controbilanciando le manifestazioni a lui ostili che da tempo, le forze dell’opposizione organizzano, ogni sabato, a Belgrado e in altre città.

Putin, infatti, è senz’altro il leader straniero più amato in Serbia, soprattutto per il suo appoggio all’integrità territoriale del Paese contro l’indipendenza del Kosovo (già durante la guerra per la dissoluzione della Jugoslavia del 1991-1995, del resto, la Russia aveva sempre assecondato le ragioni di Belgrado, chiudendo anche un occhio sui massacri compiuti in Bosnia-Erzegovina dagli indipendentisti filoserbi).

Ora, questa sua visita ufficiale rilancia in pieno lo storico asse Mosca – Belgrado, asse in cui la Serbia, riprendendo la politica degli anni ’90, sembra voler includere anche l’aspirante “Repubblica serba” di Banja Luka, contraria al Governo bosniaco.

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