K metro 0 – Proprio all’inizio dell’anno, il presidente della Cina Popolare Xi Jinping, nel discorso per commemorare il 40° anniversario del “Messaggio ai Compatrioti Cinesi a Taiwan”, ha riaffermato il cosiddetto “Principio di una Cina” e “Un Paese, Due Sistemi”: il principio, cioè, fortemente sostenuto da Pechino, che l’isola di Taiwan è parte integrante
K metro 0 – Proprio all’inizio dell’anno, il presidente della Cina Popolare Xi Jinping, nel discorso per commemorare il 40° anniversario del “Messaggio ai Compatrioti Cinesi a Taiwan”, ha riaffermato il cosiddetto “Principio di una Cina” e “Un Paese, Due Sistemi”: il principio, cioè, fortemente sostenuto da Pechino, che l’isola di Taiwan è parte integrante della Cina, e che il resto del mondo non deve interferire nella questione dell’indipendenza taiwanese.
“La questione di Taiwan è parte della politica interna della Cina, è un interesse centrale della Cina”. Pechino vede Taiwan come una provincia che si è smarrita e che- come già Hong Kong, tornata sotto la sovranità cinese nel 1997 – non ha diritto al riconoscimento internazionale come entità politica separata; Xi – come riportato da mass-media e principali agenzie stampa – ha detto che, se necessario, Pechino userà anche la forza, per riportarla sotto il suo controllo.
Il Presidente Xi, nella Sala Grande del Popolo nel centro di Pechino, ha quindi dichiarato che il processo di unificazione con la Cina Popolare è inarrestabile. “Il Paese sta crescendo forte, la nazione sta ringiovanendo e l’unificazione tra le due parti dello Stretto è la grande tendenza della storia”. Da rilevare che Xi ha fatto il suo discorso solo un giorno dopo che la Presidente di Taiwan, Tsai Ing-wen, ha esortato la Cina a risolvere pacificamente le dispute sull’isola: “23 milioni di taiwanesi vogliono preservare il loro autogoverno”, ha detto il Capo dello Stato di Taiwan.
Venerdì scorso, a Roma, in un incontro con la stampa italiana il rappresentante di Taipei in Italia, Ambasciatore Andrea Lee, ha voluto rilasciare alcune dichiarazioni partendo dalla rinnovata richiesta di Taipei agli altri Paesi (Italia compresa) di mantenere relazioni normali e attive con Taiwan, e chiedere una risoluzione pacifica delle questioni in tutto lo Stretto, ogni volta che se ne presenti l’opportunità. “Taiwan desidera cooperare strettamente con Paesi che condividono valori universali, come la libertà e la democrazia e lo Stato di diritto, in modo da meglio assicurare la pace, la stabilità e la prosperità della regione Asia-Pacifico”.
Dunque, la posizione di Taipei sulle dichiarazioni di Xi si può riassumere in 5 punti.
Il primo è che Il rifiuto della Cina a rinunciare all’uso della forza contro Taiwan ha un impatto negativo sulla pace e la stabilità nella regione Asia-Pacifico. Pechino ha anche inviato piu’ volte aerei e navi a svolgere esercitazioni militari in prossimità di Taiwan, sconvolgendo lo statu quo e creando problemi di vario genere. Taipei è convinta che queste azioni violino il principio dell’uso di mezzi pacifici per risolvere le controversie internazionali, previsto dalla Carta delle Nazioni Unite.
Il secondo punto si riferisce al fatto che l’accanimento cinese contro Taiwan viola i valori fondamentali della democrazia, della libertà e dei diritti umani. “Taiwan è un Paese democratico, libero e rispettoso dei diritti umani, rispetta la libertà di religione e gli altri valori fondamentali”, ha ribadito l’Ambasciatore. Che ha detto anche che, a suo avviso, “nel corso degli anni, la Cina Popolare continuamente non ha rispettato i diritti umani, la libertà religiosa e gli altri valori fondamentali, minando così seriamente la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani’’ dell’ONU.
Il terzo punto si focalizza sul cosiddetto “Principio di una Cina”: che, secondo Taiwan, ignora davvero la realtà. La Repubblica di Cina è un Paese sovrano e indipendente che ha 17 alleati, con ottimi rapporti diplomatici, e ha sviluppato buone relazioni con la maggior parte degli altri Paesi del mondo. Per Taipei l’affermazione che il “Principio di una Cina” abbia il consenso della società internazionale non è assolutamente vero. Dei 178 Paesi che intrattengono rapporti diplomatici con la Cina Popolare, infatti, solo 51, meno di un terzo, ha riconosciuto completamente ed esplicitamente il cosiddetto “Principio di Una Cina” nei vari accordi diplomatici, o in altri documenti che stabiliscono relazioni con Pechino. Per l’Ambasciatore Lee, “Gli Stati Uniti, il Giappone, i membri dell’UE e altre importanti democrazie hanno la loro “One China Policy”, e non accettano il “Principio di una Cina” proclamato da Xi”.
Come quarto punto, si è rimarcato che Taiwan continuerà a lavorare per mantenere lo statu quo nello Stretto, cercando di migliorare le relazioni tra le due sponde. “Taiwan non ha mai cercato di prendere le distanze dalla Cina. Dal suo insediamento, la Presidente Tsai ha ripetutamente mostrato buona volontà verso la Cina”.
Ultimo e quinto punto, è la forte dichiarazione che l’esistenza di una Taiwan democratica è in linea con gli interessi comuni della comunità internazionale.
In sintesi, le posizioni dei due Paesi rimangono molto distanti. Dal punto di vista strategico, è difficilmente immaginabile una guerra convenzionale scatenata da Pechino verso Taipei.
Più possibile una serie di azioni di disturbo, nel lungo periodo, con le caratteristiche della guerra ibrida. Azioni sul piano finanziario, economico e politico, con possibili cyber attacchi e supporto alle opposizioni al Governo di Taiwan possono essere portate avanti con costi contenuti.
Troppo costoso, invece, sul piano del sacrificio di vite umane e dei costi economici, pianificare un’occupazione militare e, in seguito, un controllo costante del Paese. Basterebbe che Taiwan organizzasse delle unità di élite pronte alla guerriglia che un’occupazione permanente diverrebbe “costosissima”.
Ci si augura comunque che rimanga sempre ampio spazio alla diplomazia: che Pechino abbia ormai imparato l’uso responsabile del Soft Power, aderendo a istituzioni multilaterali, partecipando a numerose operazioni di pace, accettando l’invito della comunità internazionale ad assumersi responsabilità nella gestione della governance mondiale, e riuscendo quindi ad accumulare influenza internazionale. Anche se la natura autoritaria del suo potere, la crescente assertività di Pechino in specifici contesti e la percepita aggressività di alcune delle sue politiche, soprattutto verso Taiwan e chi la sostiene. costituiscono limiti evidenti.
di Giuseppe Morabito