K metro 0 – Madrid – Da un lato dell’Atlantico si alzano muri, si programmano deportazioni di massa, e sottrazioni di diritti in nome di un falso sentimento di American first. Dall’altro lato si studiano i dati che confermano come la crescita delle economie sia in parte fondata sulla presenza di forti enclaves di immigrati.
K metro 0 – Madrid – Da un lato dell’Atlantico si alzano muri, si programmano deportazioni di massa, e sottrazioni di diritti in nome di un falso sentimento di American first. Dall’altro lato si studiano i dati che confermano come la crescita delle economie sia in parte fondata sulla presenza di forti enclaves di immigrati. Ossia cittadini stranieri, partiti dalle aree più povere del globo e diretti verso il ” mondo benestante” a cercare fortuna.
Come da sempre, nella storia dell’uomo, le migrazioni hanno dettato i tempi delle crisi e delle rinascite, in ogni angolo della terra. L’ultimo dossier che atterra sulla scrivania del cronista è quello che riguarda la Spagna. Secondo l’ OCSE l’impiego di manodopera straniera ha contribuito a far crescere l’economia della Spagna di circa il 3 per cento nel 2024, una delle migliori performance al mondo, e lasciando il tasso dell’eurozona ad appena lo 0.,8 per cento. Addirittura più alto di quello statunitense -2,8 per cento- dove il maga Trump ha promesso di chiudere le frontiere e di cacciare gli immigrati.
Il ministero della previdenza sociale e delle migrazioni di Madrid ha rivelato che il 45 per cento di tutti i posti di lavoro creati a partire dal 2022 sono stati occupati da nuovi lavoratori immigrati e che i tre milioni di lavoratori stranieri rappresentano ormai il 13 per cento dell’intera forza lavoro spagnola, e senza i quali sarebbe il collasso dell’economia del paese iberico che ha una manifattura molto vitale. Una tesi rafforzata da uno studio della Banca di Spagna secondo cui tutta la crescita demografica post Covid della Spagna è stata trainata dall’immigrazione che ha sostenuto l’invecchiamento della popolazione garantendo la tenuta del sistema previdenziale. Una Spagna che invecchia- come tutta l’Europa- avrà bisogno di un milione di immigrati- lavoratori l’anno per i prossimi trent’anni, per mantenere l’equilibrio e la sostenibilità del welfare. Numeri incontrovertibili cui si risponde con l’espansione delle forze politiche anti-immigrati, fortemente caratterizzate dalle parole d’ordine della destra sovranista ed isolazionista.
Una crescita che non sembra spaventare il premier Pedro Sànchez che ha difeso l’immigrazione legale come uno dei pilastri dello sviluppo del paese, ” accoglierli è un passo essenziale per garantire la prosperità futura della nostra economia “, ha rivendicato in Parlamento. Il suo governo ha promosso accordi con alcuni paesi africani per stabilire ingressi regolamentati e programmare attività di formazione dei giovani lavoratori provenienti dall’Africa. In Spagna come altrove in Europa, mancano artigiani, addetti ai servizi, anche alla persona, addetti alle cure , professionisti dell’edilizia.
La Fondazione Moressa ha calcolato che in Italia il contributo dei lavoratori stranieri alla formazione del Pil è del 9 per cento; versano oltre 12 miliardi di contributi a vario titolo e ne “costano” per pensioni e assistenza sociale poco meno di 4. Una realtà che anche nel caso italiano non corrisponde alla percezione che l’opinione pubblica ha del fenomeno. Una forbice altrettanto evidente nel paese che si appresta a diventare il capofila delle politiche anti immigrazione, gli USA. Secondo Morgan Stanley l’immigrazione ha contribuito per circa 0,3 punti percentuali annui alla crescita del PIL in tutti i paesi avanzati compresa l’America. La stessa Morgan Stanley ha lanciato l’allarme per il vecchio continente: il calo del 6,4 per cento della popolazione in età lavorativa entro il 2040 potrebbe ridurre il PIL dell’eurozona del 4 per cento.
Una vera e propria débacle alla quale potrebbe aggiungersi una fiammata inflazionistica causata dalla mancanza di manodopera a costi accessibili. Insomma, più delle parole d’ordine occorrono politiche di lungo periodo, risultato di capacità di programmazione, di inclusione, e formazione delle nuove leve di lavoratori.