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Droga, la geopolitica del narcotraffico

Droga, la geopolitica del narcotraffico

K metro 0 – Bruxelles – Non solo Donald Trump. Il neopresidente americano non è il solo ad identificare i narcotrafficanti come vettori di terrorismo, e a suggerire una pericolosità massima per questi imprenditori globali della droga. La decisione del nuovo inquilino della Casa Bianca di designare i cartelli come Foreign Terrorist Organizations, seguita dal

K metro 0 – Bruxelles – Non solo Donald Trump. Il neopresidente americano non è il solo ad identificare i narcotrafficanti come vettori di terrorismo, e a suggerire una pericolosità massima per questi imprenditori globali della droga. La decisione del nuovo inquilino della Casa Bianca di designare i cartelli come Foreign Terrorist Organizations, seguita dal relativo ordine esecutivo, ha avuto come effetto quello di assegnare alle bande criminali che proliferano ai confini meridionali degli USA, una qualifica sin qui riferita  ai gruppi estremisti, di natura religiosa, politica o nazionale. Con questa scelta Washington ha deciso di alzare il tiro su un fenomeno che sta devastando gli Stati Uniti.

Le droghe – a cominciare dal Fentanyl – fanno migliaia di morti ogni anno nel paese, aggrediscono i giovani, li spingono ai margini della società, decapitano le generazioni future e costringono il paese ad investire miliardi di dollari nel tentativo disperato di frenarne la diffusione. Il tentativo di Biden di bloccare la commercializzazione dalla Cina delle materie prime di base del Fentalyn, non ha avuto i risultati sperati. Adesso ci prova Trump dichiarando guerra ai narcos. Guerra che potrebbe tradursi in interventi militari diretti, peraltro non nuovi in quella parte del continente. Contro i terroristi si potrebbero legittimare azioni di controguerriglia, come i raid aerei od operazioni speciali per distruggere i laboratori della droga e cancellare le rotte del commercio. Una strada impervia che con tutta probabilità Trump si guarderà bene dall’imboccare, lasciando che l’ordine esecutivo vada ad ingrossare il filone della sua propaganda.  Ma quello della lotta al narcotraffico è un tema che impegna la responsabilità degli Stati e degli organismi internazionali. 

Secondo il Fondo Monetario Internazionale, i proventi del commercio mondiale di droga, conteggiati in transazioni legali rappresentano l’11,3 per cento di tutte le importazioni degli USA. Una cifra immensa che ha la sua enorme rilevanza sui bilanci degli Stati e sulle scelte  economiche.  Basti pensare che secondo l’ultimo rapporto delle Nazioni Unite (UNODC) sarebbero 300 milioni gli individui che in tutto il mondo possono essere definiti consumatori abituali di sostanze stupefacenti, il 6 per cento della popolazione globale. Un mercato che è in netta e rapida espansione.

Sempre secondo il rapporto delle NU, infatti negli ultimi dieci i consumatori sarebbero cresciuti del 23 per cento. In testa alla classifica delle sostanze consumate c’è la cannabis, seguita dalle anfetamine, quindi dalla cocaina. Un mercato che non conosce crisi,  né stanchezza. Anzi è sempre pronto a rinnovare l’offerta con nuovi prodotti. E’ esattamente quel che è accaduto con il fentanyl. Economico da produrre, facile da trasportare.

All’ombra del traffico di stupefacenti alcuni governi si arricchiscono, manovrano alleanze, scendono in campo nel confronto geopolitico. Perché il fatturato del mercato delle droghe che non teme confronti con quelli notoriamente più redditizi, genera appetiti ed ambizioni. I cartelli messicani da un pezzo non sono più solo bande criminali, ma dei veri e propri stati nello stato e si sono spinti fino all’Ecuador, al Cile dove si confrontano con i governi locali come dei veri e propri contropoteri. Coltivano, producono, commercializzano grazie ai nuovi spazi del dark web, trasportano ed infine spacciano.

Nel mirino dei narcos non solo gli Usa, ma anche l’Europa. Grazie ai suoi porti, aperti ai commerci, dalla Spagna, al Belgio, all’Olanda. All’Italia  e al porto di Gioia Tauro spetta il primato dei sequestri mondiali di droga. I corridoi dello smercio prevedono anche tappe in Africa, soprattutto per il transito verso le piattaforme europee del consumo. L’Europa sin qui ha evitato di seguire Trump nelle sue decisioni, però l’allarme è scattato.

Il direttore dell’Agenzia UE che monitora le dipendenze, ha invitato a tenere alta l’attenzione. Traffico e violenza legata al consumo sono in netta crescita. E se l’eroina non è più la sostanza dominante, i sostituti – cocaina,  metanfetamina e droghe sintetiche – non sono meno pericolose e potenti. E soprattutto molto disponibili sui mercati da strada, in tutta Europa.

A fronte di una significativa contrazione dei sequestri, specie ad Anversa e Rotterdam, considerate le porte di accesso nel continente. Una riduzione che ha restituito vigore ai clan europei. L’Europol ne ha contati quasi 850. Reti criminali multinazionali che si muovono con efficienza e destrezza su tutto il territorio europeo, utilizzando con molto cinismo l’arma della corruzione per avere porte aperte ovunque e superare le barriere. La stragrande maggioranza di questi clan sono operativi nel traffico di stupefacenti, e nel 40 per cento dei casi si tratta del business esclusivo. Reti criminali che infiltrano tutto, dai servizi commerciali, all’edilizia, dalle attività alberghiere  alla logistica. Spesso sono guidate da soggetti estranei all’Unione, Turchi e Nordafricani nel Nord Europa, russi nei paesi dell’Est Europa.

Un giro d’affari da centinaia di miliardi di euro per stroncare il quale l’Europol ha chiesto misure urgenti, stretto coordinamento investigativo e forti politiche di contrasto in tutta l’Unione. Esattamente quel che ha chiesto Francois Molins, l’ex procuratore  di Parigi, commentando la volontà dei ministeri dell’interno e della Giustizia di Francia di combattere fino in fondo i mercati della  droga. A cominciare dall’apertura di un carcere di massima sicurezza dove rinchiudere i 100 maggiori trafficanti francesi, molto più pericolosi secondo l’ex procuratore, dei terroristi. E per rafforzare la sua tesi ha reso espliciti due numeri: 80 le inchieste legate al terrorismo aperte in Francia l’anno scorso contro le migliaia che riguardano la criminalità organizzata. 

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Rossana Livolsi
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