Ettore Colla: un protagonista della scultura italiana postwar

Ettore Colla: un protagonista della scultura italiana postwar

K metro 0 – Roma – “Se pochi oggi ricordano che la monumentale asta di ferro con spirale posta di fronte alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna (di Roma) è uno dei capolavori di Ettore Colla, significa che una nuova esposizione dedicata al suo artefice non è più procrastinabile”. Questa la motivazione che ha spinto la

K metro 0 – Roma – “Se pochi oggi ricordano che la monumentale asta di ferro con spirale posta di fronte alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna (di Roma) è uno dei capolavori di Ettore Colla, significa che una nuova esposizione dedicata al suo artefice non è più procrastinabile”. Questa la motivazione che ha spinto la Galleria Capitolium Art di Roma ad allestire una mostra (a cura di Enrico Mascelloni, visitabile fino al 4 febbraio, nei suoi spazi di Via delle Mantellate 14/B) dedicata a un protagonista della scultura italiana del dopoguerra. Che ha sempre distillato, tuttavia, la sua presenza sulla scena dell’arte.    

La scarsità delle mostre dedicate a Colla, come spiegano gli organizzatori di quella oggi in corso a Roma, è dovuta alla scarsità delle sue opere. Dopo la sua morte (nel 1968) le mostre personali a lui dedicate sono state presentate a intervalli sempre più lunghi.

Le opere esposte alla Galleria Capitolium provengono dall’ex collezione di Carla Panicali, affezionata amica di Colla e una delle più importanti galleriste di quegli anni come Il Segno  e Marlborough.

Opere che documentano il passaggio della scultura da un “sistema di concezione plastica ancora ‘statuario’” alla scultura moderna, che, come la pittura, ha seguito una tendenza all’informale. E ha sperimentato “il ricorso a materiali inediti, mai prima usati” o a materiali “trovati” e solo più o meno abilmente “montati” (vedi Gillo Dorfles, Ultime tendenze dell’arte d’oggi, Milano Feltrinelli, 1962).

Ettore Colla cambia, così, radicalmente (come Burri per la pittura) la tematica e la tecnica della scultura. Sulla scia del programma di rinnovamento artistico e impegno mano del Gruppo Origine, un sodalizio (nato nel 1951) fra Colla, Burri, Capogrossi e Ballocco, che in un momento di cambiamento epocale,  avverte la necessità di liberarsi del passato anche recente per dar vita a un’arte imperniata su metodi, motivazioni e finalità del tutto differenti.  Ma per fare anche tabula rasa delle involuzioni manieristiche  dell’astrattismo.

Tra la fine del ’54 e gli inizi del ’55 l’attività artistica di Colla si allontana da ogni tematica geometrica e si  orienta verso l’assemblage, alla ricerca di forme e rapporti spaziali in stile Informale attraverso l’utilizzo di elementi di recupero, come il ferro.

Subito dopo la guerra, aveva già sviluppato l’idea di utilizzare i rottami di ferro come materia prima della sua arte, osservando “i luoghi dove si era combattuto” e “i centri dove si raccoglieva e ammassava tutto ciò che il conflitto aveva potuto scheletrire e frantumare”.

Seguendo un procedimento che rimarrà costante nella produzione successiva, raccoglie dai depositi alla periferia della città rottami di ferro, residui inservibili di macchinari industriali. In questo primo momento si tratta soprattutto di materiali che provenendo in gran parte dalle rovine della guerra, ne costituiscono una significativa e drammatica testimonianza; dopo aver scelto alcuni pezzi l’artista li monta insieme assecondando, nel corso dell’operazione, l’immagine creativa che l’oggetto “trovato” gli suggerisce. Un tipo di operazione che ha il suo antecedente nelle esperienze futuriste e dadaiste,  in Calder e Pevsner, Picabia e Gonzales, che rimangono comunque  i punti di riferimento essenziali di Colla. Diversamente da Calder, tuttavia, che con i suoi mobiles (le sculture cinetiche) così battezzate da Duchamp,  ritrova nella metallurgia del suo tempo una via che riporta alla natura, Colla ”sostituisce alla natura di Calder la certezza della storia, la presenza dell’uomo” (Maurizio Fagiolo).  

L’azione di Colla   si  basa su un processo creativo che si allontana da ogni casualità ed automatismo dadaista nella sua rigorosa disciplina,  sia sul piano manuale che su quello  concettuale.

Ma quella di Colla (come avverte Argan, L’arte moderna 1770/1970, Firenze, Sansoni 1970)   non è una poetica del rottame, né dell’oggetto trovato. Gli oggetti assemblati con i rottami di ferro emersi dalle sue meticolose esplorazioni delle discariche urbane (precisano i curatori dell’esposizione della Galleria Capitolium) sono più oggetti cercati che trovati e nulla di automatico e casuale vi è nel loro meditato assemblaggio ancora realizzato con classica  attenzione alla forma.

Le sculture di Colla, per concludere con le parole di Giulio Carlo Argan, contengono un racconto ed una morale: sono favole di La Fontaine del nostro tempo, soltanto che le persone non sono allegorizzate in animali sapienti, ma nei frammenti di una grossa macchina rotta. Non s tratta di un facile ‘poetica del rottame’: l’attrazione che il rottame esercita sulla fantasia  dell’artista dipende essenzialmente dal fatto che esso conserva, malgrado tutto, una forma.

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