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Recensione de “L’ultimo dei politici” di Franklin Foer, Longanesi editore

Recensione de “L’ultimo dei politici” di Franklin Foer, Longanesi editore

K metro 0 – Roma – Voluminoso- con le note siamo ad oltre 430 pagine-dettagliato nei minimi particolari, “L’ultimo dei politici” di Franklin Foer è un accurato ritratto di Joe Biden e un affresco sorprendente dei suoi anni alla Casa Bianca. Il libro che esce alla vigilia delle decisive elezioni del 5 novembre 2024 è

K metro 0 – Roma – Voluminoso- con le note siamo ad oltre 430 pagine-dettagliato nei minimi particolari, “L’ultimo dei politici” di Franklin Foer è un accurato ritratto di Joe Biden e un affresco sorprendente dei suoi anni alla Casa Bianca. Il libro che esce alla vigilia delle decisive elezioni del 5 novembre 2024 è frutto del lavoro di quasi tre anni. L’ex direttore di “New Republic”, attuale corrispondente di “The Atlantic” ha trascorso giornate ad interrogare politici, giornalisti, collaboratori.. chiunque avesse anche solo una lontana dimestichezza con l’inquilino del 1600 di Pennsylvania Avenue a Washington.

Foer ha messo insieme oltre 300 interviste; alcune ufficiali, la stragrande maggioranza, anonime. Una fatica che meritava di essere consumata: la Casa Bianca vista così da vicino come non l’abbiamo mai vista. Il comandante in capo osservato e seguito  nelle sue solitudini, nei momenti di euforia, nelle sconfitte e nei successi.

Joe Biden, l’ultimo dei politici e con lui finirà un’epoca. Quella che considerava la politica un nobile mestiere perché nobile è. Quella che ha fondato la propria esistenza sulla necessità e sull’urgenza del negoziato. Quella che negli spiragli delle trattative vedeva un’occasione di successo per tutti e non una sconfitta. Con Biden -questa è l’opinione di Foer- lascia la scena tutta una generazione di politici- non solo statunitensi- che sulla parola data, sull’onore, sull’impegno ha costruito il proprio successo. E per nulla al mondo l’avrebbero tradita.

Foer segue Biden sin dai primi passi, nel novembre del 2020 e poi il momento drammatico dell’assalto al Campidoglio il 6 gennaio 2021. Con Biden che si dimostra insieme saggio e determinato a richiedere il rispetto dei principi fondanti della democrazia americana.

C’e’ il racconto delle lunghe e rischiose settimane durante le quali l’intera amministrazione Trump faceva resistenza a trasmettere le chiavi del potere alla subentrante, rischiando di far correre agli Usa  gravi rischi. Un muro di silenzio che coinvolse anche la complicata successione nella guerra al Covid, nella quale il tycoon si era dimostrato alquanto tiepido.

La difficile decisione di richiamare i soldati dall’Afghanistan. Un accordo concluso  malamente dal suo predecessore ma che Biden volle portare ad ogni costo a termine, nonostante la contrarietà di parte della sua squadra ed anche del Pentagono, consapevoli che per gli afghani l’addio degli americani avrebbe significato la morte o comunque la fine di qualunque tipo di libertà. Di fronte alle scene delle madri che affidavano i loro bambini alle braccia dei marines al di là del muro, dei giovani aggrappati alle  ali dei velivoli senza alcuna speranza di salvezza, il presidente ebbe moti di forte  commozione, ma non volle desistere dalla sua intenzione.

Del resto che quella fosse stata una guerra sciagurata era sua vecchia convinzione che non aveva nascosto neppure durante gli anni della vicepresidenza al fianco di Barack Obama. Gran parte delle giornate al vertice dell’amministrazione erano spese per individuare i percorsi migliori per tirare fuori l’America dalle secche del Covid e del post Covid. E fu proprio Biden, insistentemente a volere e a mobilitare tutte le possibili risorse dell’amministrazione- impegnandosi anche in prima persona- per trovare gli accordi indispensabili con il manipolo di Repubblicani dialoganti per rilanciare il paese. In ballo migliaia di miliardi di dollari da impegnare per il green deal, per restituire vivacità alla manifattura Usa, per ammodernare le infrastrutture, per recuperare i primati perduti nell’innovazione, nell’economia digitale e nel delicato campo dei semiconduttori. Uno sforzo di rammendo che andò avanti per mesi e mesi, rischiando più volte di fallire e che alla fine fu premiato con l’approvazione dell’Inflation Reduction Act. Un parto durato nove mesi che l’amministrazione negoziò con i repubblicani ma che servì a rimettere in carreggiata l’economia Usa.

Ed ancora l’aborto e le insoddisfacenti politiche migratorie: su ogni tema Biden assumeva la postura del politico di professione conscio di svolgere il mestiere più complicato del mondo e che coinvolgeva il destino di centinaia di milioni di persone.  A lui toccò, avvertito dall’intelligence , allertare Zelensky della decisione di Mosca di invadere l’Ucraina. Fino all’ultimo sia gli alleati europei che gli Ucraini non vollero credere ai report Usa. Esitazioni che costarono care. A Biden si deve la fermezza nel sostegno alla Repubblica invasa, e sempre a lui si deve, a fronte dell’iniziale sconcerto degli Alleati, la tenuta del fronte a sostegno di Khiev. Sostegno economico e militare. Che non ha fatto mancare neppure ad Israele, sebbene il Medio Oriente gli abbia procurato più grattacapi che soddisfazioni. ” E’ stato l’uomo che doveva essere”: una quercia nella tutela dei principi americani, un giunco se per raggiungere certi obiettivi occorreva adattarsi a compromessi.

Il 46esimo presidente Usa, comunque andrà a finire la partita del 5 novembre, sarà rimpianto anche per la capacità di tenere la barra diritta in momenti drammatici per la storia americana. 

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Rossana Livolsi
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