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Europa, il consumatore (poco) digitale

Europa, il consumatore (poco) digitale

K metro 0 – Bruxelles – I paesi dell’Unione Europea sono al mondo quelli  che godono di maggior tutela contro le pratiche aggressive delle imprese. Secondo alcuni analisti nella UE saremmo addirittura di fronte ad un eccesso di legislazione pro consumatori, eccesso che danneggerebbe le imprese, specie quelle europee a vantaggio di quelle non UE.

K metro 0 – Bruxelles – I paesi dell’Unione Europea sono al mondo quelli  che godono di maggior tutela contro le pratiche aggressive delle imprese. Secondo alcuni analisti nella UE saremmo addirittura di fronte ad un eccesso di legislazione pro consumatori, eccesso che danneggerebbe le imprese, specie quelle europee a vantaggio di quelle non UE. Eppure l’apparato di garanzia pensato per proteggere il cittadino-consumatore non è sufficiente. E’ quello che emerge dal recente check della Commissione: il Digital Fairness Fitness ha rivelato la totale fragilità del cliente online di fronte alle sfide digitali promosse dai dark pattern e dalle pubblicità mirate.

Il Fitness check e’ una verifica molto approfondita che valuta nel dettaglio l’impatto delle leggi dell’Unione e soprattutto se abbiano o meno raggiunto l’obiettivo, le ragioni dell’eventuale fallimento e le correzioni da apportare. Costituisce un grosso sostegno al legislatore perchè lo indirizza, suggerendo le modifiche. La revisione si é concentrata su tre direttive: quella relativa alle pratiche commerciali sleali, la seconda riguarda i diritti dei consumatori, in primis, la trasparenza e la terza, infine relativa alle clausole contrattuali abusive e fa divieto alle imprese di imporre condizioni illegittime nei contratti sottoscritti con i consumatori. Direttive necessarie ed indispensabili, ma insufficienti alla tutela dei consumatori online, facili e sprovvedute vittime dei predatori della rete. Che fanno un uso spregiudicato della tecnologia per influenzare, ingannare e raggirare il cliente. Per formulare le sue osservazioni nel check  ci é avvalsi anche del contributo del pubblico: un feed back assai utile per contribuire a definire e migliorare le politiche e le normative del futuro. Il 31 per cento dei partecipanti al sondaggio ha ammesso di aver speso più tempo e denaro di quanto promesso e preventivato; il 70 per cento si è detto preoccupato per l’utilizzo dei propri dati personali e il 37 per cento ha riconosciuto che le aziende fossero a conoscenza della loro vulnerabilità e la utilizzassero per scopi commerciali.

Tra gli altri sul banco degli accusati sono finti i design manipolativi che inducono i consumatori a prendere decisioni non necessarie. Il tasto più rischioso è quello delle  false affermazioni di  urgenza, che spingono il consumatore ad effettuare acquisti nè urgenti, nè indispensabili. Un’altra trappola è costituita dal design addictive nei servizi digitali, come i videogiochi con caratteristiche simili al gioco d’azzardo, che induce i consumatori a spendere più tempo e più denaro. Preoccupante é l’uso di annunci mirati che sfruttano la fragilità di particolari quote di consumatori- le loro difficoltà finanziarie o di salute- inghiottendoli in un baratro senza fine.  Il controllo dell’UE ha scoperto che le aziende rendono problematico per i clienti annullare il contratto e la propaganda degli influencers sui social media rende il meccanismo infernale.

Il Digital Fairness Fitness check ha quantificato i costi di queste pratiche lesive della buona fede del consumatore: poco meno di otto miliardi di euro l’anno; mentre le aziende per rispettare la normativa dell’Unione affrontano costi assai più contenuti, 737 milioni di euro annui. Ad aggravare la situazione di vulnerabilità del consumatore anche la frammentazione delle legislazioni nazionali che con difficoltà si conformano a quella continentale. 

La Commissione ha deciso di affrontare a viso aperto la questione. Nel mirino in particolare il dark pattern, ossia quel modello ingannevole studiato di proposito per sollecitare gli utenti a compiere azioni indesiderate e svantaggiose per sè. L’obiettivo è quello di dar vita ad un ambiente digitale più equo e sostenibile per il consumatore. Benchè al momento non sia stata formulata alcuna specifica indicazione, tuttavia la relazione ha suggerito di procedere con l’applicazione del regolamento digitale UE, incluso il Digital Services Act che proibisce le pratiche sleali sulle piattaforme online. Ad occuparsi della materia che potrebbe portare l’Unione a scontrarsi con le Big Tech, sarà il prossimo commissario alla Giustizia che dovrà elaborare ” un Digital Fariness Act per contrastare tecniche non etiche e pratiche commerciali legate ai dark pattern, al marketing degli influencers sui social media, alla progettazione digitale e alla profilazione online di consumatori sfruttati per scopi commerciali”. 

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