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Medio Oriente, due Stati unica soluzione possibile secondo i ministri degli Esteri dell’Ue

Medio Oriente, due Stati unica soluzione possibile secondo i ministri degli Esteri dell’Ue

K metro 0 – Bruxelles – Israele deve accettare una soluzione a due Stati per porre fine alla guerra e garantire la sua sicurezza. Questa la posizione dei ministri degli Esteri europei prima della riunione odierna, separatamente, delle loro controparti israeliane e palestinesi. “Vogliamo costruire una soluzione a due Stati”, ha dichiarato il capo della

K metro 0 – Bruxelles – Israele deve accettare una soluzione a due Stati per porre fine alla guerra e garantire la sua sicurezza. Questa la posizione dei ministri degli Esteri europei prima della riunione odierna, separatamente, delle loro controparti israeliane e palestinesi. “Vogliamo costruire una soluzione a due Stati”, ha dichiarato il capo della diplomazia europea Josep Borrell, mentre il primo ministro israeliano Benyamin Netanyahu ha ribadito la sua opposizione alla sovranità palestinese.

Il rifiuto di Israele è “preoccupante”, ha ribattuto il nuovo ministro degli Esteri francese, Stéphane Séjourné.  Intanto, il ministro delle Forze armate, Sébastien Lecornu, incontrerà oggi le famiglie degli ostaggi di Hamas, prima di fare il punto con Netanyahu, il ministro della Difesa Yoav Gallant e diversi membri del gabinetto di guerra sulla situazione nella Striscia di Gaza e sui rischi di escalation.

Le famiglie degli ostaggi, disperate, implorano un accordo. Nella notte, parenti e sostenitori si sono riuniti nei pressi della residenza ufficiale di Benyamin Netanyahu a Gerusalemme. “Chiediamo al nostro governo di sedersi al tavolo dei negoziati e di decidere di accettare questo o qualsiasi altro accordo che vada bene a Israele”, ha dichiarato Gilad Korenbloom, il cui figlio è ostaggio a Gaza. Ne ha riferito Franceinfo.

Quali, a questo punto, i possibili scenari postbellici a Gaza? Ne ha parlato Rtve. Il governo israeliano insiste sul fatto che la guerra continuerà finché non saranno raggiunti due obiettivi: recuperare gli ostaggi e distruggere Hamas. Tuttavia non ha rivelato il piano per il giorno dopo a Gaza e nel resto dei Territori occupati. Il premier Benjamin Netanyahu nega che Israele voglia rioccupare l’enclave, come richiesto dai suoi partner di estrema destra, ma si oppone al fatto che sia governata dall’Autorità Nazionale Palestinese (ANP) e che apra la porta a una soluzione a due Stati.

Secondo i media israeliani l’esecutivo è paralizzato. Ad oggi, si possono solo fare ipotesi sui possibili scenari post-bellici. La prima ipotesi vede un governo palestinese ma sotto il controllo esterno di Israele. Che così continuerebbe a mantenere il controllo esterno via terra, mare e aria, come ha fatto da quando ha ritirato l’esercito e smantellato gli insediamenti all’interno di Gaza nel 2005. Juan Rodríguez Garat, ammiraglio della Marina spagnola in pensione, avverte tuttavia che distruggere Hamas esclusivamente con mezzi militari “è impossibile”. Richiede un approccio di polizia, e molti anni, e probabilmente dovrà includere concessioni politiche. Israele può distruggere i loro tunnel, ma non tutte le armi. Non ci sono riusciti nemmeno in Cisgiordania. Per questo bisognerebbe devastare tutte le case, fino alle fondamenta. D’altra parte, “il controllo dei confini è possibile, ma ad un costo elevato in termini di arruolamento, risorse e politica”.

Il secondo scenari prefigura un dominio militare diretto da parte di Israele. Senza la cooperazione di una “forza interna”, Tel Aviv potrebbe scegliere di tornare al controllo militare diretto di Gaza. Dopo la conquista di Gaza e della Cisgiordania (con Gerusalemme Est) nel 1967, Israele ha esercitato un controllo militare diretto fino agli accordi di Oslo (1993). In seguito ha ritirato le sue forze dalla maggior parte dei territori e ha ceduto l’amministrazione all’ANP, pur rimanendo in alcune aree (che nel caso della Cisgiordania sono in continua espansione insieme agli insediamenti illegali) e mantenendo il controllo esterno.

La terza soluzione è la rioccupazione di Gaza. Nel 2005, Sharon decise di ritirarsi unilateralmente dalla Striscia, sgomberando le sue truppe e smantellando il blocco di insediamenti di Gus Katif, composto da circa 8.000 coloni. Questo fu il cosiddetto “disimpegno”. Israele ha mantenuto il controllo dei confini, dello spazio aereo e del mare e, dopo la vittoria elettorale di Hamas nel 2007, ha attuato, insieme all’Egitto, un blocco dell’enclave fino ad oggi. Sebbene la pulizia etnica e il genocidio i palestinesi faranno il possibile per rimanere nel territorio”.

L’ultima possibilità, infine, è una soluzione permanente e un futuro a due Stati. Lo scenario che gli alleati più stretti di Israele, gli Stati Uniti e i Paesi dell’Ue, vorrebbero vedere è la fine delle ostilità, che evita un’esplosione regionale e apre la porta a un altro processo di pace, con la creazione di uno Stato palestinese all’orizzonte. Ma Netanyahu si oppone. L’ultimo importante negoziato palestinese-israeliano, quello di Camp David (2000), si concluse con un nulla di fatto. L’Ue, su proposta della Spagna, si è dunque offerta di organizzare una conferenza internazionale per riavviare il processo.

“La soluzione dei due Stati è apparsa più uno slogan che una soluzione politica, perché si è permesso a Israele di approfondire l’occupazione, creando altri insediamenti e rendendo impraticabile una soluzione politica al conflitto”, ha dichiarato a RNE Ahmed Suboh, medico e ambasciatore che ha ricoperto diversi incarichi nell’ANP.  

Sulla guerra in Medio Oriente, fa sentire, infine, la sua voce anche l’Arabia Saudita, che non riconoscerà Israele senza un percorso verso uno Stato palestinese. A riferirlo è Associated Press. Il regno non normalizzerà le relazioni con Israele né contribuirà alla ricostruzione di Gaza senza un percorso credibile verso uno Stato palestinese – un punto di non partenza per il governo di Israele. Lo ha dichiarato il principe Faisal bin Farhan in un’intervista con la CNN trasmessa domenica scorsa.

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