K metro 0 – Jeddah – La terza edizione del Red Sea International Film Festival si è conclusa a Jeddah con la proclamazione dei 14 vincitori dei premi in palio per le altrettante categorie delle pellicole in gara. Vincitore assoluto è stato “In Flames”, un film horror del regista indiano Zarrar Khan. Ma a fare
K metro 0 – Jeddah – La terza edizione del Red Sea International Film Festival si è conclusa a Jeddah con la proclamazione dei 14 vincitori dei premi in palio per le altrettante categorie delle pellicole in gara. Vincitore assoluto è stato “In Flames”, un film horror del regista indiano Zarrar Khan. Ma a fare incetta di premi – quattro in totale – sono stati film che hanno portato sullo schermo i temi più caldi dell’attualità dei Paesi del Medio oriente: il palestinese “The Teacher” si è aggiudicato addirittura due premi – quello per il miglior attore protagonista e quello speciale della giuria – il giordano “Inshallah a Boy” ha vinto il premio per la migliore attrice e il tunisino “Four Daughters” è stato premiato come migliore documentario. Il pubblico, raccolto sui tre livelli della grande sala del Ritz Carlton, ha condiviso con lunghi applausi le scelte della giuria guidata quest’anno dal regista australiano Buz Luhrmann. Applausi calorosi sopratutto quando, per due volte, è stata chiamata sul palco la regista palestinese di “The Teacher”, Farah Nabulsi, che ha ritirato anche il premio assegnato all’attore Saleh Bakri che era bloccato a Ramallah, in Cisgiordania. E la regista palestinese, che vive da anni a Londra, ha lanciato dal palco un appello “perché finisca il massacro”, scatenando altri applausi.
“L’attualità irrompe nel Red Sea Film Festival” era il titolo dell’ultimo articolo di Kmetro0 da Jeddah, pubblicato mercoledì scorso, che raccontava proprio le trame di questi tre film e li indicava come possibili vincitori. Una previsione confermata. Perché l’originalità di questo festival è quella di essere un interprete attento di tutte le mutazioni in atto in Paesi che stanno mettendo in discussione gli stereotipi in cui sono stati a lungo incapsulati. A partire dalla stessa Arabia Saudita dove, per 35 anni, dal 1982 fino al 2017, le sale cinematografiche erano rimaste chiuse perché definite “luoghi che favoriscono la promiscuità e diffondono falsi valori” e dove, negli ultimi cinque anni, si è rimessa in moto un’industria cinematografica che ha già creato due grandi centri di produzione dove sono stati realizzati 250 tra film e serie tv – per un giro d’affari che marcia spedito verso il traguardo del miliardo di dollari – e dove si è affermato oltre ogni ottimistica previsione, un festival come quello di Jeddah che, in sole tre edizioni, è stato capace di conquistarsi un posto di tutto rispetto nel circuito mondiale del cinema.
Un successo dimostrato anche dalla partecipazione di star affermate. Fare l’elenco degli ospiti dei quotidiani “red carpet” del Festival di quest’anno sarebbe davvero lungo. Tra i personaggi più noti, ricordiamo Sharon Stone, Nicolas Cage, Gwyneth Paltrow, Will Smith soltanto per citarne alcuni. Ma anche i nuovi cineasti dei Paesi mediorientali si sono imposti all’attenzione generale. Il caso dei tre film del filone che si porrebbe definire di “cinema impegnato” è esemplare perché ha acceso i riflettori su registi e attori di una generazione attenta a raccontare e interpretare i problemi e la voglia di cambiamento in atto. “Inshallah a Boy” racconta la storia di una vedova che deve inventare una gravidanza che potrebbe darle un figlio maschio – da qui il titolo “Se Dio vuole, un bambino” – per evitare che sia il fratello del marito defunto ad assicurarsi tutta l’eredità secondo la legge che privilegia gli eredi maschi.
Se “Inshallah a Boy’ è una denuncia delle diseguaglianze di genere, “Four Daughters” e “ The Teacher” portano sullo schermo storie ancora più intrecciate con l’attualità politica. Perché due delle quattro figlie – le “Four Daughters” – di una donna tunisina, nel 2016, sono entrate nelle fila dei terroristi dell’Isis e sono realmente ancora in carcere in Libia. E il professore (“The Teacher”) protagonista del film palestinese si trova al centro di un complesso scambio tra un soldato israeliano catturato da una milizia e mille prigionieri palestinesi che si concluderà positivamente, ma che aprirà nuove ferite in un confronto che sembra infinito. Un film, questo, realizzato ben prima del 7 ottobre ma che ha riferimenti evidenti con quanto sta accadendo adesso. Ma, al di là dei premi, la presidentessa della Fondazione del Red Sea International Film Festival, Jomana Al-Rashid, intervenemdo alla serata conclusiva, ha detto che la manifestrazione di Jeddah aveva tre obiettivi che ha riassunto con tre B: “to bridge, to bind and to buid”, realizzare ponti, progettare e costruire. “In fatto di costruire ponti – ha detto Jomana Al-Rashid – questo festival ha già dimostrato che il linguaggio non è una barriera, ma un legame e che le culture possono essere anche diverse ma, alla fine, convergere”.