K metro 0 – Roma – Sono l’ecosistema più grande e ancora incontaminato del mondo. Oggetto di appetiti dei “predatori del mare” (le industrie estrattive alla ricerca, nelle acque profonde, di rame, cobalto, nichel e manganese, materiali chiave per lo sviluppo di tecnologie cardine per la transizione energetica, quali batterie, turbine eoliche ed energia solare).
K metro 0 – Roma – Sono l’ecosistema più grande e ancora incontaminato del mondo. Oggetto di appetiti dei “predatori del mare” (le industrie estrattive alla ricerca, nelle acque profonde, di rame, cobalto, nichel e manganese, materiali chiave per lo sviluppo di tecnologie cardine per la transizione energetica, quali batterie, turbine eoliche ed energia solare). Ma anche di speranze.
In fondo al mare c’è un patrimonio da proteggere. E c’è chi ci ricorda che ancora non conosciamo abbastanza l’ecosistema dei grandi fondali marini e dovremmo perciò evitarne lo sfruttamento prima di essere certi che non distruggeremmo in modo irrimediabile una grande parte della natura (vedi Mario Baccianini, “Sospeso fino al 2025 lo sfruttamento dei fondali oceanici”, www.kmetro0.it, 28 luglio 2023).
Le nuove tecnologie permettono lo sfruttamento delle acque internazionali e dei fondali oceanici, dove le leggi sono poche e nessuno le fa rispettare. Nel 2020, solo un quinto del fondale marino è stato dichiarato come già cartografato. Cosa che ha dell’incredibile, come ha scritto su “l’Identità” (il quotidiano diretto da Tommaso Cerno) Giada Balloch, brillante divulgatrice scientifica, considerando che gli oceani ricoprono il 71% di tutta la superficie terrestre. Nonostante i sonar e altri dispositivi abbiano consentito progressi considerevoli, gran parte del fondale oceanico rimane ancora inesplorato.
Ma negli ultimi anni, la prospettiva di mappare l’intero fondale dell’oceano entro il 2030 ha suscitato un interesse significativo. Nuovi strumenti e sistemi avanzati, inclusi sofisticati droni sottomarini e robot, sono in fase di costruzione per finalizzare questo ambizioso progetto. E la futura mappa delle profondità oceaniche, induce la Balloch a una nota di ottimismo: “I cambiamenti climatici e l’inquinamento hanno un impatto significativo sui nostri mari e il completamento della mappa potrebbe fornirci dati fondamentali per comprendere gli effetti di tali cambiamenti e sviluppare strategie di mitigazione più efficaci”.
Il nostro obiettivo di esplorare gli ultimi segreti dell’oceano potrebbe diventare una realtà entro il prossimo decennio. E il tesoro nascosto dei mari potrebbe alimentare un nuovo marketing ecologico che combini profitto e responsabilità ambientale, a vantaggio della salvaguardia di flora, fauna e risorse ambientali.
L’importanza del mondo sommerso per il nostro pianeta non può essere sottovalutata. Fornisce ossigeno, regola il clima, rappresenta una fonte di cibo vitale e offre opportunità per il turismo. Nuova Zelanda, Belize e Sud Africa, ad esempio, hanno dimostrato come un paese abbia adottato misure per creare aree protette e ne abbia ricavato vantaggi. Un ulteriore modo per sfruttare e al contempo promuovere la conservazione è attraverso il settore dei cosmetici e della nutraceutica: l’interesse per ingredienti naturali provenienti dal mare, come alghe e microorganismi marini, sta crescendo. Molte aziende stanno investendo nello sviluppo di questi prodotti, creando nuove opportunità di mercato e prodotti definiti ‘sustainable’. Tuttavia, conclude la Balloch, “è fondamentale che agiscano in modo autentico, partecipando attivamente alla protezione degli oceani anziché sfruttarli solo a fini di lucro”.
Ma dietro le “luci” dell’ottimismo della ragione, si stagliano le “ombre” dei “predatori del mare”. Pronti ad allungare i loro artigli. Il pericolo è imminente. Il conto alla rovescia è già cominciato. L’unico stop potrebbe arrivare dall’Isa (International Seabed Authority) l’Autorità internazionale dei fondali marini, istituita per tutelarli come patrimonio comune dell’umanità. Gli ecosistemi degli abissi oceanici possono tirare un sospiro di sollievo. Per ora. Il temuto via libera allo sfruttamento minerario delle profondità marine, è stato infatti messo in stand-by: se ne riparlerà nel 2025.
Così ha deciso, il 9 luglio scorso, nel corso di un lungo meeting a Kingston, in Giamaica, il Consiglio dell’International Seabed Authority.
È una buona notizia per il movimento di scienziati e attivisti che si batte contro questa nuova forma di estrattivismo potenzialmente devastante. Ma non è una vittoria, dal momento che la richiesta di una moratoria totale per il deep sea mining non è stata presa in considerazione.