Kmetro0 – Washington – La guerra in atto fra Israele e Hamas potrebbe far interrompere le forniture globali di petrolio e far schizzare i prezzi? La risposta arriva da un’attenta analisi effettuata da Associated Press. È vero, infatti, che il conflitto israelo-palestinese “non è certo una buona notizia” per i mercati petroliferi, già messi a
Kmetro0 – Washington – La guerra in atto fra Israele e Hamas potrebbe far interrompere le forniture globali di petrolio e far schizzare i prezzi? La risposta arriva da un’attenta analisi effettuata da Associated Press.
È vero, infatti, che il conflitto israelo-palestinese “non è certo una buona notizia” per i mercati petroliferi, già messi a dura prova dai tagli alla produzione di petrolio da parte di Arabia Saudita e Russia e dalla prevista maggiore domanda da parte della Cina, come ha dichiarato il capo dell’Agenzia Internazionale dell’Energia.
Ma è molto improbabile si creino condizioni come quella della crisi energetica del 1973, con interminabili file alle pompe di benzina, perché la produzione di petrolio degli Stati Uniti è ai massimi storici. La U.S. Energy Information Administration, un ramo del Dipartimento dell’Energia, ha riferito, infatti, che la produzione americana di petrolio nella prima settimana di ottobre ha raggiunto i 13,2 milioni di barili al giorno, superando di 100.000 barili il precedente record del 2020.
I mercati rimangono intanto volatili e il conflitto potrebbe far salire i prezzi del petrolio; il Brent di riferimento internazionale ha superato i 91 dollari al barile giovedì 19 ottobre, rispetto agli 85 dollari del 6 ottobre, il giorno prima che Hamas attaccasse Israele. Le fluttuazioni successive all’attacco hanno spinto il prezzo dell’”oro nero” a 96 dollari. La preoccupazione è che i combattimenti possano portare a complicazioni con l’Iran, che possiede alcune delle più grandi riserve di petrolio al mondo. La sua produzione è stata limitata dalle sanzioni internazionali, ma il petrolio continua a fluire verso la Cina e altri Paesi.
“Per ottenere un movimento sostenuto dei prezzi, dovremmo davvero vedere un’interruzione dell’offerta”, ha dichiarato Andrew Lipow, presidente della Lipow Oil Associates, società di consulenza con sede a Houston. Un’evenienza possibile solo con un grave danno alle infrastrutture petrolifere iraniane, causato da un attacco militare di Israele; oppure una chiusura dello Stretto di Hormuz, che si trova a sud dell’Iran, poiché gran parte delle forniture mondiali passa attraverso questa via d’acqua. In questi casi i prezzi si impennerebbero a livello globale.
Gli Stati Uniti d’America potrebbero tuttavia fornire un contributo maggiore a calmierare i prezzi. Lo testimonia Mike Sommers, presidente e amministratore delegato dell’American Petroleum Institute, il principale gruppo di pressione dell’industria petrolifera statunitense, che ha ripetutamente criticato le politiche del Presidente Joe Biden, deciso a tutti i costi a rallentare il cambiamento climatico globale e limitare così nuove estrazioni petrolifere.
Se invece l’Iran dovesse intensificare il conflitto a Gaza – compreso un possibile attacco da parte dei militanti di Hezbollah in Libano sostenuti dall’Iran – la posizione di Biden potrebbe cambiare. “Se gli Stati Uniti tornassero ad applicare le sanzioni petrolifere contro l’Iran in modo più rigoroso, il mercato del petrolio si contrarrebbe notevolmente”, affermano gli analisti di Commerzbank. Questo è lo scenario peggiore.
Un’altra carta vincente è la risposta dell’Arabia Saudita alla limitazione del petrolio iraniano. Gli analisti petroliferi sostengono che, sebbene i sauditi possano accogliere con favore i recenti aumenti, non vogliono un’impennata dei prezzi che alimenterebbe l’inflazione, e nemmeno l’incremento dei tassi di interesse delle banche centrali e una possibile recessione nei Paesi consumatori di petrolio, che limiterebbe o addirittura annullerebbe la domanda.
C’è poi l’arrivo sul mercato di altro petrolio dal Venezuela. Gli Stati Uniti hanno deciso mercoledì di sospendere al momento alcune sanzioni sui settori del petrolio, del gas e dell’oro del Paese, dopo che il governo venezuelano e una fazione dell’opposizione hanno formalmente accettato di lavorare insieme sulle riforme elettorali. La produzione venezuelana potrebbe aumentare nel 2024, ma al massimo di 200.000 barili al giorno nei prossimi sei mesi, “una goccia nel mare”, secondo Sofia Guidi Di Sante, analista senior del mercato petrolifero presso Rystad Energy.
“Le politiche energetiche di Joe Biden mettono l’America all’ultimo posto”, ha tuonato infine il senatore del Wyoming John Barrasso, citando le decisioni del presidente democratico di bloccare il controverso oleodotto Keystone XL e di svendere porzioni significative della Riserva Strategica di Petrolio della nazione, portandola al livello più basso dagli anni Ottanta. Il Dipartimento dell’Energia ha dichiarato giovedì 18 ottobre che cercherà offerte per iniziare a rifornire la riserva di petrolio a dicembre, con sollecitazioni mensili previste fino a maggio 2024.
Intanto cereali e soia – riporta Foodbusinesnews – sono in rialzo grazie alla spinta del greggio e alla debolezza del dollaro. I guadagni del greggio e la debolezza del dollaro USA hanno creato le premesse per un rafforzamento dei futures sui cereali e sui semi oleosi.