K metro 0 – Roma – Per celebrare il 93simo anniversario della nascita del Regno dell’Arabia Saudita, oltre che in patria, sono state organizzate dalle ambasciate feste e manifestazioni in tutto il mondo. Una grande kermesse planetaria che in Italia ha assunto un carattere speciale, anche perché a rappresentare il suo Paese a Roma c’è
K metro 0 – Roma – Per celebrare il 93simo anniversario della nascita del Regno dell’Arabia Saudita, oltre che in patria, sono state organizzate dalle ambasciate feste e manifestazioni in tutto il mondo. Una grande kermesse planetaria che in Italia ha assunto un carattere speciale, anche perché a rappresentare il suo Paese a Roma c’è un ambasciatore altrettanto speciale: un principe dalla casa reale, Faisal bin Sattam Abdulaziz Al Saud. E per una settimana – dal 25 settembre – la Casina Valadier e il suo bel giardino, all’interno del parco di Villa Borghese, si sono trasformati nel “Villaggio Saudita”, aperto liberamente al pubblico che ha potuto gustare le specialità della cucina, ascoltare musica, assistere a proiezioni di documentari – davvero suggestivo quello dedicato al sito archeologico e naturalistico di AlUla – e a un’altra serie di eventi che sarebbe troppo lungo elencare. Ma l’anniversario della nascita del Regno non è soltanto un’occasione di festa: è lo spunto per fare un bilancio di quanto è stato già realizzato degli obiettivi fissati nel grande piano “Vision 2030” lanciato nel 2016.
L’ambasciatore Faisal bin Sattam Abdulaziz Al Saud è arrivato a Roma nel maggio del 2017 e dei risultati di “Vision 2030” è testimone diretto e appassionato. Ha detto che “quando si ha il 70 per cento della popolazione sotto i 30 anni, come in Arabia Saudita, assicurare il raggiungimento degli obiettivi del piano è ancora più doveroso per realizzare le aspirazioni delle generazioni future e per lo sviluppo sostenibile di tutti gli aspetti della vita del Regno”. Dalle sfide ambientali con colossali progetti per sviluppare le energie rinnovabili – obiettivo che potrebbe sembrare strano in un Paese che ha scalato la classifica dei più ricchi del mondo grazie allo sfruttamento delle fonti energetiche fossili – fino alle sfide di rinnovamento sociale. Non soltanto salute e benessere, ma emancipazione femminile, uguaglianza di genere, qualità dell’istruzione e della formazione, digitalizzazione. Anche apertura alle imprese internazionali e al turismo. Fino allo sport che, forse, è il tema di cui più si è parlato in Italia per i nomi dei calciatori – compresi Ronaldo, Benzema e Neymar – che giocano adesso nel campionato saudita. Per non parlare di Roberto Mancini che è il nuovo CT della squadra nazionale dell’Arabia Saudita.
Ma, in confronto con i capitoli di “Vision 2030”, la trasformazione del campionato di calcio saudita è soltanto una ciliegina su una grande torta di riforme. Lanciato nel 2016 dal principe ereditario Mohammed bin Salman Al Saud – MBS, come lo chiamano la maggior parte dei media mondiali – il piano ha tra le sue pietre angolari lo sviluppo delle fonti rinnovabili di energia. La “Saudi Green Initiative” fissa gli obiettivi – finora tutti realizzati – per ridurre le emissioni di CO2 e combattere i cambiamenti climatici sviluppando tutti i settori delle rinnovabili: dal solare, all’eolico, all’idrogeno e, forse in un futuro prossimo, anche al nucleare se andranno a buon fine le trattative riservate in corso con gli Usa e Israele. Il traguardo fissato per il 2030 è di produrre il 50 per cento dell’energia dalle fonti alternative al petrolio: il più ambizioso di tutti i piani dei Paesi occidentali. Collegato alla “Saudi Green Initiative” c’è lo sviluppo di nuovi concetti urbanistici. Il più ambizioso è “The Line”, la città a pianta lineare dove ci si sposta soltanto con mezzi pubblici (un treno metropolitano superveloce) a zero emissioni già in costruzione nella regione di Neom, tra il mare e il deserto. Una “line” che sarà anche verde, con milioni di alberi piantati.
A proposito di verde, “Vision 2030” prevede di trasformare ben 40 milioni di ettari di deserto in foreste e terreni coltivabili. Tra i progetti già approvati, c’è anche quello di realizzare una località sciistica su una montagna che ora è completamente brulla e che dovrebbe essere pronta (costo 500 miliardi di dollari) in tempo per i Giochi invernali asiatici del 2029 ai quali l’Arabia Saudita si è candidata. Tra le riforme già attuate che investono anche il campo sociale, oltre alla patente di guida per le donne che possono ora spostarsi da sole – senza essere accompagnate da un uomo della famiglia – di cui tanto si è già parlato, c’è stata anche la riapertura della sale cinematografiche – chiuse per trent’anni – accompagnata da un massiccio rilancio della produzione cinematografica nazionale. Da tre anni, ormai, a Jeddah, la città sul Mar Rosso che è storicamente il porto dei pellegrini diretti alla Mecca, si tiene ai primi di dicembre il Red Sea International Film Festival che è subito entrato nel circuito dei grandi Festival internazionali come Cannes, Venezia o Berlino.
E per aiutare lo sviluppo di un’industria cinematografica saudita, sono stati realizzati degli studios che nulla hanno da invidiare a quelli di Hollywood sia nell’area archeologica di AlUla – dove ci sono le vestigia della civiltà Nabatea – sia nella regione di Neon destinata a diventare la città del domani. Passato e futuro che s’intrecciano, come in tutti i capitoli di “Vision 2030” che fissa gli obiettivi della nuova Arabia Saudita, senza mai rinnegare la storia, le tradizioni del Paese. Complessivamente nel piano sono elencate 60 “iniziative” e tutte sono in fase avanzata di progettazione e, molte, di realizzazione. Tanto che il motto della “Vision 2030” – il suo sottotitolo, si potrebbe dire – è “We Dream and Achieve”: noi sogniamo e realizziamo. Per quanto riguarda l’Italia, il recente memorandum firmato a Milano dal ministro Urso e da quello saudita Al Fatih apre la strada a una vasta cooperazione economica e a una presenza intrecciata di aziende italiane in Arabia Saudita e saudite in Italia che non farà rimpiangere il raffreddamento della Via della Seta tra Roma e Pechino. Anzi, promette investimenti molto più consistenti.