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Perché Google è diventato così potente e senza concorrenza

K metro 0 – Washington – A venticinque anni dalla sua fondazione, è impossibile immaginare la nostra vita quotidiana senza Google. Che influenza ha l’azienda su di noi e come si spiega la sua ascesa? Se l’è chiesto la testata tedesca zdf.de. Quando Larry Page fondò Google insieme a Sergey Brin, aveva un obiettivo: smistare

K metro 0 – Washington – A venticinque anni dalla sua fondazione, è impossibile immaginare la nostra vita quotidiana senza Google. Che influenza ha l’azienda su di noi e come si spiega la sua ascesa? Se l’è chiesto la testata tedesca zdf.de.

Quando Larry Page fondò Google insieme a Sergey Brin, aveva un obiettivo: smistare la marea di dati presenti su Internet. Google lo fa ancora e oggi elabora circa 100.000 query (interrogazione di un database per estrarre o aggiornare i dati) di ricerca al secondo. Con una quota di mercato del 92%, il colosso californiano è di gran lunga il motore di ricerca più utilizzato del pianeta, senza alcuna vera concorrenza.

Di conseguenza, l’azienda è in grado di determinare ciò che gli utenti di Internet vedono. E c’è “una folle corsa per vedere chi è in cima”, spiega Dirk Lewandowski, professore di sistemi informativi all’Università di Duisburg-Essen.

Ma oggi Google non è solo un motore di ricerca; esso possiede anche servizi come YouTube, Android e Google Maps. Anche questi hanno aiutato la società madre di Google, Alphabet Inc, a diventare una delle aziende di maggior valore al mondo. Ora ha un valore di borsa di 1,7 trilioni di dollari USA.

All’inizio, Google ha avuto successo soprattutto per il modo in cui ordinava i risultati delle ricerche. L’azienda si è poi arricchita perché adatta gli annunci pubblicitari al contesto delle query di ricerca.

Il contenuto visualizzato in cima all’elenco non dipende, però solo dalla sua pertinenza e affidabilità. I fornitori, infatti, possono pagare perché i loro contenuti siano visualizzati in cima all’elenco quando gli utenti cercano una determinata parola chiave.

Google indica così che questo contenuto è un annuncio, ma per il resto appare come un normale risultato di ricerca. “Abbiamo riscontrato in alcuni studi che gran parte degli utenti tedeschi non è in grado di distinguere tra una pubblicità e un risultato di ricerca”, chiarisce Lewandowski.

Come riportato dal Wall Street Journal nel 2017, in alcuni anni, inoltre, Google ha persino creato liste di desideri di documenti accademici, inclusi abstract e bilanci, per poi cercare autori disposti a farlo. Il sostegno finanziario di Google sarebbe stato compreso tra i 5.000 e i 400.000 dollari USA in ogni caso e non è stato reso noto nella maggior parte dei documenti.

Infine, va ricordato l’intervento dello scienziato dei media Martin Andree, che in un’intervista a ZDFheute spiega perché vede le big tech come un pericolo per la democrazia. “Se si osserva come viene distribuito il traffico in rete, si capisce subito che una manciata di aziende possiede la rete, mentre quasi tutti gli altri restano a mani vuote. È particolarmente problematico che le offerte top monopolizzino ciascuna un intero mercato: Google è il mercato dei motori di ricerca, Youtube quello dei video-on-demand gratuiti, cioè della quasi televisione online, Facebook e Instagram quello dei social media e così via”.

Martin Andree insegna media digitali all’Università di Colonia. In qualità di scienziato dei media abilitato, da oltre 15 anni si occupa di ricerca sulle supremazie delle Big Tech. “All’inizio i politici e le autorità non hanno capito la natura di questi mercati digitali e si sono lasciati guidare dalle aziende – aggiunge – il problema è che le piattaforme tendono ad avere enormi effetti di rete che portano quasi sempre alla prevalenza di un fornitore e alla scomparsa di tutti gli altri. Per questo motivo sarebbe stato facile creare fin dall’inizio condizioni quadro che offrissero opportunità anche ad altri fornitori. Finora non è successo, anzi”.

Dal 23 maggio, i giganti di Internet e della tecnologia come Google, Amazon e Co. non sono più autorizzati a collocare i propri servizi e prodotti come priorità nell’Ue.

Il traffico principale si svolge all’interno dei “silos” di Google, Youtube, Facebook e altri. È pur vero che anche i grandi media mettono i loro contenuti a disposizione delle piattaforme. “Cos’altro possono fare? Sono in una trappola mortale: il loro futuro è esclusivamente nei canali digitali – riprende lo scienziato esperto -.  Ma questi appartengono alle Big Tech. Per catturare anche solo una piccola fetta di attenzione per i loro contenuti, non hanno scelta: devono alimentare le piattaforme che sono i loro peggiori nemici. I generi mediatici non dovrebbero mai essere di proprietà di aziende private. È proprio questo il nesso che i regolatori non capiscono. I monopoli devono essere un tabù nel campo dei media” conclude.

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