K metro 0 – Roma – Slitta al 15 settembre il termine per l’approvazione dei bilanci di previsione 2023-2025 dei Comuni. A disporlo è stato il Viminale, con un decreto pubblicato in Gazzetta ufficiale lo scorso 31 luglio. Si tratta dell’ennesima proroga di questa scadenza che ordinariamente dovrebbe coincidere con il 31 dicembre di ogni
K metro 0 – Roma – Slitta al 15 settembre il termine per l’approvazione dei bilanci di previsione 2023-2025 dei Comuni. A disporlo è stato il Viminale, con un decreto pubblicato in Gazzetta ufficiale lo scorso 31 luglio. Si tratta dell’ennesima proroga di questa scadenza che ordinariamente dovrebbe coincidere con il 31 dicembre di ogni anno ma che viene sistematicamente spostata in avanti. A evidenziarlo è un’analisi di Centro Studi Enti Locali (Csel), elaborata per Adnkronos, che parla di “discutibile anomalia”, che si è ormai radicata da oltre 30 anni in Italia e via via sempre più cronicizzata.
Quest’anno abbiamo assistito, nell’ordine, alla proroga dal 31 dicembre 2022 al 31 marzo, al 30 aprile, 31 maggio. E, ancora, lo slittamento al 31 luglio che è stato poi ulteriormente spostato al 15 settembre, vale a dire a poco più di 3 mesi dalla fine dell’esercizio finanziario in questione. Tra le motivazioni normalmente addotte, immancabile è sempre la voce “incertezza sulle risorse finanziarie a disposizione dei Comuni”, ma spesso a questa si affiancano altre ragioni come il ritardo dell’insediamento dei nuovi Consigli comunali o il maltempo che ha causato dei danni non ancora quantificati.
Elaborando inoltre dati Mef aggiornati a metà luglio 2023, Csel stima che i bilanci già approvati e trasmessi alla Banca dati delle pubbliche amministrazioni sono 6.355, ovvero l’80% del totale. L’area più virtuosa del Paese, da questo punto di vista, è il Nord-Est, dove la percentuale di Comuni che hanno già trasmesso il bilancio preventivo raggiunge il 96%. Seguono il Nord-Ovest (93%) e il Centro (83%). Al Sud e nelle isole le percentuali scendono drasticamente e si attestano rispettivamente al 57% e 55%. Le province in assoluto più virtuose, in cui non manca all’appello il bilancio di un singolo comune, sono: Ancona, Arezzo, Grosseto, Massa Carrara, Pistoia, Ferrara, Gorizia, Ravenna e Reggio Emilia. All’estremo opposto Catania, dove solo il 10% dei comuni ha approvato e trasmesso il bilancio di previsione 2023, Agrigento (16%), Caltanissetta (18%), Enna e Vibo Valentia (20%), Trapani (24%) e Ragusa (25%).
Se fino ai primi anni 2000, i bilanci preventivi slittavano mediamente di 2-3 mesi, negli ultimi 20 anni il fenomeno ha assunto dimensioni talmente importanti – avverte Csel – da rischiare di annullare il senso dell’adempimento stesso. Dal 2014 in poi, infatti, lo spostamento rispetto alla scadenza del 31 dicembre è stato mediamente di ben sei mesi. Il culmine, in negativo, è stato raggiunto tra il 2012 e il 2013. In quegli anni, infatti, il termine, a colpi di proroghe, è slittato fino al 31 ottobre 2012 e al 30 novembre 2013.
In alcune occasioni, sono state individuate anche soluzioni “creative”, sottolinea Csel, come proroghe fatte su misura per specifiche categorie di enti: un esempio su tutti è quello del 2015, anno in cui il termine è stato differito per tutti al 30 luglio e poi ulteriormente spostato al 30 settembre per Città metropolitane, Province ed enti locali siciliani.
Ma che cos’è esattamente il bilancio preventivo di un ente locale e quali sono gli effetti della sua mancata approvazione nei termini previsti dalla legge? “Il bilancio di previsione – ricorda Csel – è uno dei principali documenti di programmazione economica che le amministrazioni pubbliche sono chiamate a predisporre e che deve essere approvato annualmente dal Consiglio comunale su proposta della giunta. Una volta approvati, i bilanci devono essere trasmessi entro 30 giorni al ministero dell’Economia e delle Finanze attraverso la Banca dati delle amministrazioni pubbliche”.
Cosa succede se non viene approvato entro il 31 dicembre dell’anno precedente a quello cui si riferisce? Scatta automaticamente ‘l’esercizio provvisorio’, ovvero – spiega Csel – quel frangente in cui il Comune non può fare ricorso all’indebitamento e gli enti possono impegnare solo spese correnti, le eventuali spese correlate riguardanti le partite di giro, lavori pubblici di somma urgenza o altri interventi di somma urgenza.
In questo arco di tempo, gli enti locali possono effettuare, per ogni intervento, spese di importo mensilmente non superiore a un dodicesimo di quanto previsto nell’ultimo bilancio deliberato (eccezion fatta per alcune spese specifiche regolate dalle norme vigenti e di quelle non suscettibili di pagamento frazionato in dodicesimi). Il risultato è sostanzialmente quello di un bilancio ‘ingessato’ in cui gli spazi di manovra e quelli per gli investimenti sono molto ridotti.
“Fino ad oggi – riferisce Csel – le richieste di proroga che vengono sistematicamente formulate da Comuni e Province sono sempre state accolte, in maniera bipartisan, da governi di qualsiasi natura e colore: tecnici e politici, destra e sinistra. Nessun esecutivo ha mai avuto la forza di spezzare il circolo vizioso dell’aspettativa dello slittamento a oltranza, producendo così una situazione in cui l’eccezione è diventata praticamente norma e si dà completamente per scontato che quella del 31 dicembre sia una scadenza che esiste solo sulla carta e non, come invece dovrebbe essere, un termine perentorio”.
Secondo Centro Studi Enti Locali, questa pratica ha sostanzialmente svuotato il senso di questo importante documento di programmazione economico-finanziaria, che ormai è quasi sovrapponibile al documento che invece deve essere approvato ex post, quando si ha esatta contezza di come sono state impiegate le risorse in un determinato anno, il bilancio consuntivo. “La mancata vera programmazione di come saranno impiegate le risorse a disposizione di un ente in un determinato anno – fa notare Csel – si traduce in una visione limitata e distorta dell’agire amministrativo, in contrasto con i principi che dovrebbero regolare la buona gestione della cosa pubblica”.
“Fortunatamente c’è ancora un buon numero di enti che, a dispetto di questa prassi deleteria, non coglie ogni scialuppa che viene gettata dallo Stato centrale per prolungare l’esercizio provvisorio e si attiva comunque per approvare il bilancio in tempi più ristretti”, sottolinea.
“Infatti, se una parte di questi enti non in linea con la programmazione ordinaria di bilancio – prosegue Csel – sono in parte giustificabili per la oggettiva presenza di criticità finanziarie oramai strutturali ed endemiche (soprattutto nelle Regioni del Sud, caratterizzate da numerosi procedure di dissesto e di pre-dissesto), un’altra parte comunque significativa, sebbene priva di tali problemi strutturali, preferisce adagiarsi nelle proroghe di legge post 31 dicembre dell’anno precedente piuttosto che rispettare il termine ordinario, quasi come se la difficoltà di fare previsioni finanziarie ed economiche (tipiche di budget, soprattutto come in questo caso, autorizzatori) fosse diventato un lasciapassare per attendere che il bilancio di previsione diventi di fatto un cosiddetto ‘bilancio consuntivato’ (in altre parole, approvare un bilancio preventivo dopo 9 mesi di gestione equivale a fare un consuntivo, o quasi)”.