K metro 0 – Beirut – Secondo gli ultimi dati disponibili, di marzo 2022, il Libano allora accoglieva 839.086 rifugiati siriani registrati dall’UNHCR, l’ Alto commissariato Onu per i rifugiati, di cui il 48% minori (ma altre fonti, come anzitutto la celebre ONG “Save the Children”, parlavano , ad agosto del ’22, addirittura di 1,5 milioni, su una popolazione
K metro 0 – Beirut – Secondo gli ultimi dati disponibili, di marzo 2022, il Libano allora accoglieva 839.086 rifugiati siriani registrati dall’UNHCR, l’ Alto commissariato Onu per i rifugiati, di cui il 48% minori (ma altre fonti, come anzitutto la celebre ONG “Save the Children”, parlavano , ad agosto del ’22, addirittura di 1,5 milioni, su una popolazione libanese di 6,8 milioni; di fatto, il Libano è comunque il Paese che ospita il maggior numero di rifugiati pro capite). Questo sta causando un graduale peggioramento dei rapporti tra i pur accoglienti libanesi e gli esuli di Damasco. I funzionari libanesi, infatti, sull’onda anche di un peggioramento della crisi economica e dello stallo politico, che da tempo attanagliano il Paese dei Cedri, sono accusati di rendere la vita difficile ai rifugiati siriani: che, a loro volta, si stanno facendo prendere dal panico.
Nelle ultime settimane, infatti, informa AP, l’esercito di Beirut ha fatto irruzione nei campi profughi e istituito posti di blocco, per esaminare la documentazione dei cittadini non libanesi: arrivando, secondo i rifugiati e le organizzazioni umanitarie, ad arrestare, e in molti casi deportare, i siriani trovati senza residenza legale. “Le persone non dormono nelle loro case… e hanno paura persino di andare a lavorare”, ha detto una donna originaria della provincia siriana di Idlib, che attualmente vive nella valle orientale della Bekaa, in Libano. Suo marito, dice, è stato deportato il 10 aprile, insieme ad altri 28 uomini, dopo un’irruzione in un condominio di Jounieh, sobborgo di Beirut, e da allora non ha più avuto sue notizie. Come altri siriani intervistati per questa vicenda, la donna ha parlato a condizione di mantenere l’anonimato, per paura di rappresaglie. Il figlio, di 4 anni, ogni giorno chiede dove sia suo padre: e lei teme che il marito sia stato rinchiuso in uno dei centri di detenzione siriani, perché, come molti uomini fuggiti in Libano, era ricercato per aver evitato il servizio militare obbligatorio.
Intanto, i Comuni hanno attuato varie misure restrittive nei confronti dei siriani, come il coprifuoco. Il ministero dell’Interno ha annunciato ai primi di maggio di aver ordinato ai comuni di esaminare e registrare attentamente la percentuale di popolazione proveniente dalla Siria, assicurandosi che risulti in regola, prima di consentirle di prendere in affitto proprietà. Ha anche chiesto all’agenzia ONU per i rifugiati di revocare lo status di rifugiato ai siriani che fanno avanti e indietro tra il Libano e il loro Paese, dilaniato dalla guerra. A fine aprile, un comitato di ministri del governo ha chiesto all’UNHCR di consegnare le informazioni personali dettagliate presenti, sui rifugiati, nel suo database.
Lo status ufficiale in teoria protegge i rifugiato presenti in Libano, anche se coloro che non mantengono aggiornati i loro documenti di residenza possono essere espulsi. Si ritiene, comunque, che il numero effettivo di siriani viventi in Libano dopo essere fuggiti dalla guerra civile in Siria, che è in corso da più di 12 anni, sia molto più alto di quello che citavamo prima, perché Beirut ha chiesto alle Nazioni Unite di sospendere le nuove registrazioni nel 2015. Stabilire, poi, la percentuale esatta dei rifugiati siriani in rapporto alla complessiva popolazione libanese è ancor più difficile, perché da quasi un secolo in Libano non si tiene alcun censimento. In recenti interviste coi media locali, comunque, il ministro provvisorio degli Affari sociali, Hector Hajjar, ha affermato che i rifugiati costituirebbero addirittura il 40% della popolazione del Libano: cosa che “nessun Paese al mondo accetterebbe”. Sempre Hajjar, scambiando dati con l’agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati, ha dichiarato all’Associated Press che il Governo libanese può garantire che i siriani che si qualificano come rifugiati non saranno espulsi. Ha riferito, poi, di domande sulle deportazioni fatte alla Sicurezza Generale, l’agenzia incaricata di far rispettare le leggi sull’immigrazione: ma i portavoce dell’agenzia e dell’esercito libanese non hanno voluto collaborare, non rispondendo alle richieste di commentare e non rilasciando alcuna dichiarazione pubblica sull’argomento.
Dall’inizio del tracollo economico del Libano nel 2019, i funzionari governativi premono per un ritorno in massa dei siriani nel loro Paese, affermando che risultano un peso per le già scarse risorse di Beirut, e che gran parte della Siria ora risulta al sicuro. L’UNHCR afferma di aver osservato da tempo un aumento dei raid nelle comunità siriane in Libano, e di aver ricevuto segnalazioni di deportazioni di siriani, compresi rifugiati registrati: problema che “prende molto sul serio”. Tuttavia, sempre i funzionari delle Nazioni Unite non forniscono un numero di espulsioni confermate, mentre il Centro di accesso per i diritti umani, gruppo che monitora le condizioni dei rifugiati siriani, afferma di aver documentato, solo in aprile, almeno 200 deportazioni.
Gli Stati Uniti (che sono, tra l’altro, uno dei maggiori fornitori dell’esercito libanese), hanno espresso ai funzionari libanesi la loro preoccupazione per le deportazioni, ha riferito un portavoce dell’ambasciata americana a Beirut, parlando in anonimato. Il ritorno dei rifugiati in Siria, comunque, dovrebbe essere sempre “volontario, sicuro e dignitoso”, ha affermato il portavoce. “Abbiamo in corso domande alle autorità libanesi sulle procedure seguite nelle recenti espulsioni e sulla misura in cui tali criteri sono stati soddisfatti”.
La campagna contro i rifugiati, sostenuta da parte dell’opinione pubblica libanese, preoccupata di un pericoloso aggravamento della situazione, arriva sullo sfondo di negoziati governativi col Fondo monetario internazionale da tempo in stallo, e del protrarsi all’infinito dell’attesa per l’elezione del nuovo presidente del Paese, ancora bloccata dai capricci partitocratici. Nel frattempo, vari Paesi arabi si sono mossi verso un riavvicinamento col presidente siriano Bashar Assad; e il ritorno in Siria dei rifugiati in Libano è stato all’ordine del giorno dei recenti colloqui intergovernativi del Medioriente: compreso un incontro di alti diplomatici in Giordania, il 1 maggio, per discutere una possibile soluzione politica all’interminabile guerra civile in Siria.
Mohanad Hage Ali, membro anziano del Carnegie Middle East Center, ha affermato che i rifugiati siriani, in ultimo, fungono da capro espiatorio per i politici libanesi, in un momento di accresciuta rabbia della gente per la loro incapacità di affrontare la crisi economica e politica del Paese. Un importante candidato presidenziale, Sleiman Frangieh, vicino a Damasco, ha promesso di usare i suoi contatti per negoziare un accordo per il ritorno dei profughi. Il suo probabile rivale, il generale Joseph Aoun, capo dell’esercito, potrebbe invece “cercare di mostrare la sua capacità di rimpatriare forzatamente i rifugiati”, ha aggiunto Hage Ali. Ed effettivamente, negli ultimi mesi si è assistito a un aumento delle segnalazioni di deportazioni sommarie, per mano dell’esercito libanese, nei confronti di coloro che si ritiene si trovassero illegalmente nel Paese. Le organizzazioni per i diritti umani hanno citato casi di rifugiati di ritorno in Siria detenuti e torturati nelle carceri di Damasco: accuse sempre negate dalle autorità libanesi.