K metro 0 – Roma – La bruttissima vicenda che ha coinvolto l’ex parlamentare europeo Antonio Panzeri, la moglie a la figlia di lui, nonché la già vicepresidente dell’assemblea di Strasburgo Eva Kaili e il suo compagno Francesco Giorgi e via via altre persone ci racconta la verità dei fatti. Ci sbatte il mostro in
K metro 0 – Roma – La bruttissima vicenda che ha coinvolto l’ex parlamentare europeo Antonio Panzeri, la moglie a la figlia di lui, nonché la già vicepresidente dell’assemblea di Strasburgo Eva Kaili e il suo compagno Francesco Giorgi e via via altre persone ci racconta la verità dei fatti. Ci sbatte il mostro in faccia. Ci narra una storia sgradevolissima sì, ma da non rimuovere.
La degenerazione dei e nei comportamenti da parte di chi ha svolto o persino svolge tuttora ruoli pubblici è un segno tangibile di una parabola pericolosa intrapresa dall’attività politica e istituzionale.
Vedremo come andranno indagini e processi. Ma non è necessario assistere ad eventuali condanne definitive, per ragionare con trasparenza e coraggio su tale questione. Chi svolge simili funzioni deve tenere un comportamento quasi monacale, perché dovrebbe rappresentare sentimenti e bisogni collettivi.
La questione morale, sollevata in modo drammatico in una famosa intervista rilasciata ad Eugenio Scalfari su “la Repubblica” (28 luglio del 1981) da Enrico Berlinguer, ha assunto oggi un valore persino maggiore di quello sottolineato dal segretario del partito comunista italiano. Allora, con grande lungimiranza, si intravvedeva la crescita del malcostume là dove non avrebbe dovuto entrare. Eravamo ancora lontani da tangentopoli, ma il dirigente comunista aveva colto sintomi evidenti di una impropria commistione con gli affari. Quel grido di dolore rimase quasi del tutto inascoltato, mentre il quadro democratico si stava incrinando.
La crisi dei partiti di massa fu, poi, il segno di un mutamento profondo della sfera politica e l’avvento della logica del partito personale fece il resto.
Inoltre, il sistema mediatico divenne il motore di una trasformazione dei paradigmi stessi della relazione con le istanze sociali. Le strutture atte alla intermediazione venivano travolte dal rapporto tra l’uno e la moltitudine tipico della televisione generalista. I medesimi social, anni dopo, sono stati caratterizzati da un approccio omologo, venendo utilizzati spesso a mo’ di bacheca elettronica e non come opportunità di comunicazione democratica.
Un apparato politico indebolito e, soprattutto, privo di ideologie forti di riferimento e di narrazioni credibili non soggiogate alla mera istantaneità aprì le porte ai mercimoni e al lobbismo sfrenato.
La politica, perse le identità, assumeva le sembianze di un indistinto veicolo per il potere e per il business. Non solo. Leggi elettorali tese a incrinare l’elettività della rappresentanza attraverso liste bloccate e l’accaparramento delle preferenze da parte delle correnti hanno inferto il colpo finale.
Solo a Bruxelles, presso il Parlamento e la Commissione europei, sono accreditate oltre 12.000 lobby e quasi 4.000 ONG. L’esistenza di appositi albi cui è obbligatorio iscriversi non risolve il problema. Simile invasione di campo ha l’obiettivo di dettare linee e prese di posizione ad esponenti che siedono in assemblea di sovente ignari dei retroscena e dei contesti delle decisioni. Così, i portatori di interessi hanno buon gioco a far passare scelte faziose e di comodo, utili per fare favori ad aziende o persino a Stati sovrani. Oggi la strizzata d’occhio al Qatar e al Marocco; ieri o l’altro ieri l’assalto delle Big Tech alla direttiva riguardante il copyright o quelle delle multinazionali farmaceutiche. Per esempio.
Il caso Panzeri ci svela qualcosa, ma forse è solo la punta di un iceberg. Probabilmente, esiste un’area dark invisibile, che coinvolge una zona segreta dei poteri, dove avvengono fatti indicibili.
Insomma, la questione morale è oggi questione direttamente politica. Se non si ricostruisce un’adeguata etica pubblica, è il tessuto civile a venire scosso dalle fondamenta. Questa è la posta in gioco. Non basta l’indignazione. Serve una vera e propria lotta politica e culturale.
Intanto, vanno irrigidite le maglie di una normativa troppo blanda ed aggirabile. Assume un rilievo particolare l’aggiornamento dei criteri che hanno animato finora legislazioni immaginate in un’età analogica, lenta e generica.
Una disciplina sulle incompatibilità, sui conflitti di interesse e sullo stop alle lobby è urgentissima. Tra l’altro, dopo aver esaurito i mandati, deve passare un termine congruo entro il quale non è lecito esercitare attività che rientrano nella sfera in cui si ha agito.
Tuttavia, non esistono leggi o regole che possano resistere efficacemente nello scontro selvaggio che si svolge quando si prendono orientamenti delicati. Servono gruppi dirigenti all’altezza della sfida: autonomi, indipendenti, in grado di rifiutare ogni tentazione. E qui il discorso corre verso le scuole e i luoghi di formazione, indeboliti o cancellati da una politica leggera, leggerissima.
Insomma, ci vorrebbe una rivoluzione culturale ed etica.