K metro 0 – Roma – Dalle baracche alla Dolce Vita. Negli scatti di due maestri della fotografia. Esposte (fino al 26 febbraio 2023) su due pareti opposte del Padiglone 9a del Mattatoio di Roma al Testaccio (P.zza Orazio Giustiniani 4), si fronteggiano 60 foto in bianco e nero, tutte dedicate alla città, tra il
K metro 0 – Roma – Dalle baracche alla Dolce Vita. Negli scatti di due maestri della fotografia. Esposte (fino al 26 febbraio 2023) su due pareti opposte del Padiglone 9a del Mattatoio di Roma al Testaccio (P.zza Orazio Giustiniani 4), si fronteggiano 60 foto in bianco e nero, tutte dedicate alla città, tra il 1951 e il 1956.
Roma “città dolente”, che si rialza, a fatica, dopo la guerra, afflitta dalla sua cronica crisi degli alloggi. E’ la Roma dei lumpen e degli untermentschen, dei sottoproletari e dei paria, quella che sceglie di fotografare Plinio De Martiis tra il ‘51 e il ‘53. Quella dei reietti, degli ultimi.
Segregati durante il fascismo in borgate lontane. Cancellati alla vista e alle coscienze. Dispersi nell’agro romano, per non disturbare la vetrina propagandistica del Regime, riemergono, nel dopoguerra, nelle baracche sorte ovunque nell’Urbe. Anche a due passi dai ricchi, dagli attici della “Roma bene” dei Parioli, fino ai dintorni della Farnesina, quando il sontuoso ministero degli Esteri (9 piani, 1300 stanze) era ancora in costruzione.
De Martiis, intellettuale organico gramsciano, già funzionario del Partito Comunista, è il primo che documenterà, con la sua Rolleicord (parente povera della Rolleiflex) come viveva la gente in quei tuguri. Tra bambini sporchi e mocciolosi. Una povertà che si tagliava col coltello. Una bruttura di sudice casette, di cenci pestilenti.
La Roma dei mestieri più umili. Ma anche delle case povere e fatiscenti del centro storico (nei vicoli di Campo dei Fiori o di Trastevere) dove ancora molti vivevano come nelle baracche disseminate nelle periferie.
In quegli anni De Martiis, insieme a Caio Garubba, Franco Pinna, Nicola Sansoni e altri, fondò la cooperativa Fotografi Associati (sul modello dell’agenzia Magnum di Robert Capa e Henri Cartier-Bresson), che ebbe breve vita. Uscito dal PCI nel ’56, dopo l’invasione sovietica dell’Ungheria, fonderà una delle più importanti gallerie d’arte romane, “La Tartaruga”, che lanciò artisti americani come Rauschenberg, De Kooning, Marca-Relli (con la sua prima personale a Roma), Franz Cy Kline e Twombly, europei e italiani (da Kounnellis a Schifano).
Le fotografie di Roma anni ’50 sono diventate, in seguito, un genere a sé. Specchio di una città sfolgorante e difficile, che si ritrova caotica e antica, paesana e gaudente (rievocata più tardi nel film “Roma” di Fellini, con i tavolini all’aperto delle trattorie a ridosso dei binari dei tram). Una città felice di una possibile rinascita e assillata ancora dalla miseria.
Come nelle immagini di William Klein, un giovane fotografo giunto a Roma nel 1956, per lavorare come assistente di Fellini a “Le Notti di Cabiria”. Un fotografo che aveva già dato prova del suo talento innovativo con un libro su New York.
Approfittando della lunga pausa della lavorazione del film di Fellini, gira per Roma. Per catturarne le immagini e realizzare un libro, (uscito nel 1959 da Feltrinelli, ripubblicato recentemente da Contrasto) dal quale sono tratte molte delle foto esposte nella mostra in corso al Mattatoio.
Per le sue peregrinazioni romane trova amici disposti ad aiutarlo, a fargli da guida: Moravia, Pasolini, Zavattini, Laura Betti… Scriverà nella sua prefazione: “Nel giro di poco tempo, mi sentii davvero a casa. Per 8 settimane fui ovunque e iniziai persino a parlare italiano”.
Vede gli antichi monumenti. Passa le domeniche a Ostia. Capisce la crisi degli alloggi e la periferia che avanza. Compone un grande affresco di una Roma alla vigilia del miracolo economico. Con famiglie (papà, moje e fijo) in vespa o in lambretta che sfrecciano verso il mare, dove giovani squattrinati si proteggono dal sole sotto pagine di giornali e riviste.
Popolani a riposo, “dalla pancia proconsolare”, accanto a monumenti, scherza nelle sue note a margine di foto memorabili. Militari, borghesi e ragazze. Preti, chiese e beghine devote. Politici in strada, accanto ai palazzi del potere. Intellettuali al caffè. Scugnizzi nei vicoli dei vecchi quartieri. Gente che affolla piazze, vie e mercati d’ortofrutta. Comizi politici per le elezioni amministrative. Repubblicani storici sulla piazza Apollinare che aspettano il discorso di Pacciardi, il loro capo.
E ancora, annota con la sua solita ironia, “Uomini dall’aspetto tormentato, che si sorvegliano. Sorvegliati da carabinieri in uniforme, a via del Corso”. Feste eleganti, attori e défilés di moda sullo sfondo di monumenti illuminati. Militari dalla divisa un po’ gualcita: “Da dopo la guerra, la carriera militare ha perduto di fascino e gli eleganti militari bighelloni diventano una rarità”.
Nelle immagini di Klein, scrivono i curatori della mostra (Daniela Lancioni e Alessandra Mauro) “avvertiamo la meraviglia di un ragazzo americano che scopre una città bellissima”, scoprendo simultaneamente “il suo talento e la capacità di diventare un grande fotografo”.
Una pagina di storia del costume. E di Roma, che Klein ci restituisce. Rompendo con i vecchi schemi fotografici. “Obiettività, eleganza,, misura, distanza e discrezione”: le “leggi” imposte da Henri Cartier-Bresson, vengono sovvertite da Klein con un modo di raccontare più sincopatico, disordinato. Fa, di quelli che venivano giudicati errori imperdonabili, un’arte. Un nuovo modo di comunicare.
L’uso di una fotocamera con una lente grandangolare (28 mm), insieme alla ricerca di una vicinanza all’interno della scena, rompe gli standard dando vita a nuove immagini originali ed espressioniste. Lo sguardo di Klein si concentra sulla moltitudine umana. La strada diventa uno scenario ideale dove catturare l’essere umano in tutte le sue sfaccettature. E le sue immagini in bianco e nero ci lasciano una visione chiara e graffiante di quella modernità verso la quale la sua Roma 1956 si sta avviando.
foto: William-Klein-semaforo-rosso-piazzale-Flaminio-Roma-1956
foto Farnesina: di Plinio de Martiis