K metro 0 – Marche – Uno dei segni più clamorosi dell’arretratezza culturale di alcune zone della Calabria e della Sicilia, era l’omertà innanzi a delitti compiuti dalla criminalità organizzata, per cui ognuno si faceva “i fatti suoi”, in base alla codarda saggezza popolaresca del “chi non vede, chi non sente e tace, campa 100
K metro 0 – Marche – Uno dei segni più clamorosi dell’arretratezza culturale di alcune zone della Calabria e della Sicilia, era l’omertà innanzi a delitti compiuti dalla criminalità organizzata, per cui ognuno si faceva “i fatti suoi”, in base alla codarda saggezza popolaresca del “chi non vede, chi non sente e tace, campa 100 anni e muore in pace”.
Ciò è nulla rispetto alla paurosa regressione morale e civile di cui l’assassinio dell’invalido nigeriano Alika Ogorchukwu è tragico esempio, interrogando le coscienze di chi ancora le possiede, di chi guardandosi allo specchio non deve provare profonda vergogna di se stesso.
Il luogo dell’efferato delitto è la tranquilla Civitanova Marche,dalla quale sono giunte parole di attonito dolore sia dal Sindaco, Fabrizio Ciarapica, che dal Governatore delle Marche, Francesco Acquaroli.
La vittima, di 39 anni, coniugato e padre di un bimbo, era un onesto e stimato venditore ambulante, affetto da disabilità in seguito ad un incidente stradale, ben voluto da tutti per la sua correttezza e la sua educazione.
L’assassino, tale Filippo Ferlazzo, lo ha prima bastonato con la stampella con cui la vittima si aiutava a camminare, e poi lo ha finito strangolandolo dopo quattro interminabili minuti, mentre a fronte di qualche timida voce che lo invitava a smettere, un gruppo di cinici spettatori si godeva la scena dell’agonia e la filmava, per farla girare tra amici e conoscenti sui cosiddetti social, come se si trattasse di un film dell’orrore da condividere.
Sadico guardonismo, perverso cinismo, perdita di quel senso di umana pietas che ci dovrebbe distinguere dalle bestie, che pur possiedono naturalmente un forte senso di solidarietà verso i propri simili.
Vorremmo parlare di “anestesia delle coscienze”, ma non possiamo e non vogliamo evocare questa sorta di attenuante etica, perché le coscienze di coloro che sempre più spesso usano telefonini per fissare in diretta stupri, aggressioni, incidenti stradali, calamità naturali ed eventi più o meno drammatici, ebbene quelle coscienze sono ben vigili e si prestano ad amplificare l’orrore, onde condividerlo con altri pervertiti.
Non si avverte neanche la crimino – deterrenza della sanzione penale, che nel caso di specie andrebbe riferita all’art.593 del codice penale, che testualmente recita:“[…]Alla stessa pena (fino ad un anno di reclusione o fino a 2500 euro di multa)soggiace chi, trovando un corpo umano che sia o sembri inanimato, ovvero una persona ferita o altrimenti in pericolo, omette di prestare l’assistenza occorrente o di darne immediato avviso all’Autorità).” Se da siffatta condotta del colpevole deriva una lesione personale, la pena è aumentata; se ne deriva la morte, la pena è raddoppiata.
Tornando all’assassino in particolare,già sappiamo dai mezzi di informazione che il criminale soffriva di disturbi della personalità, per cui le finalità punitive da considerare sono quella retributiva, onde al comportamento antisociale conseguirà una pena commisurata all’entità della violazione posta in essere tenuto conto delle condizioni mentali; di poi quella special–preventiva, in quanto la pena esplica un’efficacia deterrente specifica nei confronti del condannato, al fine di evitare nuovi comportamenti in violazione della legge; in ultimo quella che è venuta nel tempo ad assumere importanza preminente su quelle menzionate :quella rieducativa, che le modalità di esecuzione della pena dispiegano sull’individuo a essa sottoposto.
Innanzi all’espansione di una criminalità sempre più baldanzosa e fidente nella scarsa deterrenza di pene edittali minacciose nell’astratto, ma ampiamente disattese nel momento applicativo, è utile ricordare che il Beccaria ammoniva che il compito di un Legislatore savio era di comminare pene miti, ma certe nel loro momento applicativo.
Il moltiplicarsi di leggi e l’inasprimento delle correlate sanzioni, non sono oggi segno di uno Stato forte, bensì manifestazioni di una deriva della legalità già irrisa nelle ‘grida’ di manzoniana memoria, e deprecata nell’antico aforisma plurimae leges, maxima inuria.
Sotto il profilo della prevenzione del crimine, non sembra inutile rammentare che il Filangieri (1752-1788) sostenne il ruolo fondamentale da riservare all’istruzione “necessaria per conoscere i veri interessi, per distinguere i vantaggi reali dagli apparenti”, e per “diminuire i tristi effetti della corruzione, ed innalzare il solo argine che oggi si oppone ai progressi del dispotismo e della tirannide” .
Il richiamato Beccaria (1738–1794), affermò – tra l’altro – che lo Stato doveva assicurare una giustizia rispettosa dei diritti umani, “mirando più alla prevenzione che alla repressione dei crimini, avvalendosi a tal fine soprattutto dello strumento della cultura.”
Oggi più che mai, vorremmo conclusivamente sottolineare l’importanza dell’interrelazione tra giustizia e cultura, dato che indirizzare risorse economiche alla cultura in genere – senza la quale non avrebbe senso neanche tenere delle lezioni specifiche sulla legalità – risulta quanto mai utile anche per prevenire che l’abbandono totale o parziale della scuola, attualmente chiamata a rafforzare il suo impegno educativo, possa portare a forme estreme di “disagio giovanile” sino a forme di vera e propria delinquenza organizzata, magari anche a sfondo razziale.
Prevenire costa assai meno che investire in nuove carceri o nel presidio armato dell’intero territorio nazionale, che può valere come deterrente al crimine nel breve periodo, ma non può certo divenire una misura “strutturale”.
Il problema della coscienza civile, della solidarietà, della cultura della legalità, della lotta alla criminalità, non si risolve con cortei e slogan folcloristici, ma con un serio impegno educativo che nella scuola deve trovare le sue fondamenta più solide.
Altrimenti si avvererà la profezia del nostro indimenticato maestro Virgilio Andrioli, Ordinario alla Facoltà di Giurisprudenza di Roma la Sapienza, che nel lontano 1973, vaticinava a noi giovani allievi .”L’Italia è la culla der diritto, ed er diritto ce s’è cullato così bene, che s’è addormito e nun se sveja più….
di Tito Lucrezio Rizzo