K metro 0 – Roma – «Nessuno è perfetto», esclamava nella nota battuta finale di «A qualcuno piace caldo» Jack Lemmon. Ed è proprio così. Non fa eccezione neppure Sigfrido Ranucci, cui certamente sono sfuggiti messaggi di troppo inviati a qualche parlamentare. Giusto sottolineare il peccato, ma è incredibile fare di un incidente relazionale un
K metro 0 – Roma – «Nessuno è perfetto», esclamava nella nota battuta finale di «A qualcuno piace caldo» Jack Lemmon. Ed è proprio così. Non fa eccezione neppure Sigfrido Ranucci, cui certamente sono sfuggiti messaggi di troppo inviati a qualche parlamentare. Giusto sottolineare il peccato, ma è incredibile fare di un incidente relazionale un espediente per dare il via ad un’inaudita offensiva contro un giornalista coraggioso e stimatissimo. Report ha vinto la classifica di qualità stilata dalla Rai. E conterà qualcosa il risultato di audience della rubrica lanciata da Milena Gabanelli e diretta dal 2017 da Ranucci: lo share della trasmissione è più del doppio dei consueti talk serali.
Si susseguono attacchi ormai quotidiani, che vengono da settori politici e, purtroppo, da varie testate. Attorno al conduttore, formatosi dentro l’azienda alla scuola di Roberto Morrione, si sta scatenando l’inferno. In genere, quando accadono simili storie l’obiettivo è chiaro: far chiudere un programma scomodo, scomodissimo.
Infatti, ciò che connota Report, anche rispetto ad altre valide rubriche, è la determinazione con cui si varca la linea di confine, mettendo il naso nelle zone segrete dei poteri. Dove invisibili fili in cui corre la corrente elettrica causano – se si toccano – un scossa pericolosa. Se non peggio.
Non sarà un caso se Ranucci ha ricevuto ben 176 querele e se è costretto ad avere una scorta di primo livello, a causa di un’esplicita minaccia di morte ricevuta da ambienti della criminalità organizzata nel giugno scorso.
Si badi alla sostanza, non all’accidente dei messaggi inviati al deputato di Forza Italia Ruggieri componente della commissione parlamentare di vigilanza sul servizio pubblico, indignatosi a scoppio assai ritardato per eventi che risalgono al novembre del 2021. Il moto dell’animo è esploso curiosamente solo nella seduta dell’otto febbraio, il giorno dell’audizione dell’amministratore delegato Fuortes. E il giorno nel quale fu reso noto il risultato dell’audit interno, nel quale si dichiarava l’estraneità di Ranucci alle accuse che gli erano state mosse da lettere anonime portate impropriamente nella sede parlamentare (la commissione non è un tribunale speciale di un regime: fu immaginata per scopi più nobili). Attenzione, il ripetuto accenno a presunti dossier potrebbe avere l’effetto di costringere chi conduce delicate inchieste a rendere note le fonti, rendendo impraticabile un giornalismo di frontiera, che verrebbe in tal modo fortemente depotenziato.
Non solo. Si evocano video accusatori, tali da rivelare atteggiamenti scorretti di Ranucci, voglioso quest’ultimo di gettare fango sull’ex sindaco di Verona Tosi. Piccolo particolare: quei video risultarono manipolati e due tribunali (Padova e Verona) prosciolsero lo stesso Ranucci. Nel 2014. Perché mai una vicenda chiusa da tempo viene ributtata nel flusso mediatico in questi giorni?
Probabilmente, Report ha varcato nei suoi servizi i confini di ciò che viene considerato tollerabile. Se sono permesse, salvo polemiche, iniziative che rimangono nel recinto del già noto, quando si calpestano le zone dark proibite scatta l’allarme. Chi si azzarda diventa rapidamente un nemico, da cacciare al più presto.
Ora i parlamentari di Forza Italia hanno scritto ai vertici della Rai e ci si attende un’ulteriore valutazione in materia. Si vedrà, ma la bizzarria rimane, visto che si tratta di materiali risalenti ad otto anni fa e giudicati dalla magistratura, come ha ricordato l’avvocato che seguì il procedimento.
Non sarà che a dare la stura siano state magari inchieste asprigne, come quella dove si parlava di un drone in sperimentazione precipitato misteriosamente? O le puntate che hanno tirato in ballo settori dei servizi segreti? Tant’è che seguì una direttiva del governo Draghi in materia. Supposizioni, ovviamente.
Tuttavia, è difficile pensare che polemiche tanto astiose nascano per messaggi o problemi di buone maniere istituzionali. Non è azzardato, invece, pensare che chi sta tirando la corda sia voglioso di spezzarla.
La censura incombe con crudeltà, se si aprono armadi della vergogna.