K metro 0 – Roma – Il Novecento in 80 scatti. Fotografici. Esposti al Museo di Roma (Palazzo Braschi) in una mostra da non perdere, prorogata, opportunamente, fino al 28 novembre. E’ un aperçu della vita politica, sociale e del costume dell’Italia – dalla Belle Époque agli anni ’50 – quello disegnato da Adolfo Porry
K metro 0 – Roma – Il Novecento in 80 scatti. Fotografici. Esposti al Museo di Roma (Palazzo Braschi) in una mostra da non perdere, prorogata, opportunamente, fino al 28 novembre.
E’ un aperçu della vita politica, sociale e del costume dell’Italia – dalla Belle Époque agli anni ’50 – quello disegnato da Adolfo Porry Pastorel, il padre del fotogiornalismo italiano.
Nato nel 1888 da una famiglia cosmopolita (nonno francese, nonna inglese) ha come padrino Ottorino Raimondi, il direttore del “Messaggero” di Roma, che lo spinge a scrivere come se fotografasse. Ma lui preferisce fotografare come se scrivesse, raccontando il più possibile di una storia in un solo colpo: uno scatto fotografico … (come ha osservato Michele Smargiassi nel suo Blog “Fotocrazia”, La Domenica de “La Repubblica”, 10 marzo 2013).
Dopo un breve periodo al “Giornale d’Italia”, che trasforma in un quotidiano “fotografico”, a soli vent’anni apre un’agenzia fotografica indipendente che chiama VEDO: Visioni Editoriali Diffuse Ovunque. Con segretarie, archivio e tanti giovanissimi collaboratori da sguinzagliare ovunque.
Come ovunque è presente anche lui stesso. “Veloce come un gatto. E del gatto aveva lo scatto, la prontezza, il fiuto” scrive Vania Colasanti, nella sua brillante biografia di Porry, Scacco matto. La stravagante vita di Adolfo Porry-Pastorel, Marsilio, 2013).
Sempre sul posto al momento giusto. Per primo. Inizia così una carriera fulminea che lo porterà ad essere il maggior testimone della vita romana e nazionale.
Alto, magro, elegante, dall’aria un po’ insouciant, scanzonata e maliziosa, era onnipresente. Girava per Roma su un furgone in cui aveva allestito una camera oscura, per non perdere tempo a tornare in laboratorio per sviluppare le foto.
Chiamate Adolfo 15-66: era il suo numero di telefono inciso sulla cassa di orologi che regalava ai vigili urbani perché lo avvertissero tempestivamente quando accadeva qualcosa degna di nota. E per la stessa ragione distribuiva ai quattro venti biglietti con la dicitura “Adolfo Porry Pastorel, FOT” (bizzarra abbreviazione di Fotografo Ovunque Tutto”) che aveva fatto incidere anche su specchietti da borsetta che donava alle mogli di personaggi famosi.
Fotoreporter onnivoro, instancabile, Porry diventa così “un grande narratore del suo e del nostro tempo, agile, intuitivo visionario”. Le sue foto “così eccentriche, brillanti, interessanti corrispondono a quanto noi cerchiamo oggi dall’informazione globalizzata: rapidità, visione, incisività”, scrive il curatore della mostra, Enrico Menduni. “Anche se antiche di decenni, risultano straordinariamente attuali, perché il canone della nostra attualità ha tra i suoi fondatori proprio questo meraviglioso reporter”.
Attualità, gossip, scoop, retroscena, cronaca nera, rosa, inchieste, affondano le loro radici all’inizio del Novecento grazie anche a un pioniere del fotoreportage come Porry.
Gli 80 scatti selezionati per la mostra di Roma, provengono dall’Archivio storico dell’Istituto Luce (che conserva 1700 negativi di Pastorel e più di 180.000 immagini della sua agenzia VEDO, nel cui archivio aveva accumulato 9 milioni di scatti…) e da altri Fondi come l’Archivio Fotografico Storico del Museo di Roma, gli archivi Farabola, l’Archivio Privato Vania Colasanti, la Fondazione Turati (Porry è autore di un reportage che fece epoca sul ritrovamento del corpo del deputato socialista Giacomo Matteotti, il più grave caso di omicidio politico del ‘900 in Italia).
80 scatti che formano un racconto inedito e sorprendente della storia del nostro paese. E illustrano il doppio sguardo di Pastorel. Quello di un pungente cronista di costume, attento alla gente comune, che racconta un’Italia colta di sorpresa: ai bagni al mare, nei caffè, nelle inaugurazioni di gala, nelle cerimonie pubbliche, nei matrimoni e nei funerali.
E quello di un fotoreporter capace di immortalare il potere nella sua posa più ingessata e nei suoi retroscena più intimi, aggirando la censura, il provincialismo e i limiti imposti dal regime fascista, che lo riteneva scomodo.
Sempre in bilico fra dovere di cronaca e ricerca formale, sperimentatore ardito di tecniche di stampa e trasmissione delle immagini, tra le due guerre è riuscito a passare per “il fotografo di Mussolini” e al tempo stesso per un fastidioso scrutatore del regime, (riprendendo sempre il “dietro le quinte” e le situazioni più spontanee e imprevedibili).
Come fastidioso è del resto l’occhio della macchina fotografica. Anche come mera tecnica, senza pretese “artistiche”, la fotografia, se usata sapientemente, dischiude alla nostra percezione dimensioni impensate e altrimenti “invisibili”.
L’obiettivo coglie infatti cose che sfuggono all’occhio più attento. Fa affiorare l’”inconscio ottico”: le più evanescenti o fuggevoli espressioni del volto; le emozioni che trapelano da un gesto inavvertibile; la cifra segreta di un contegno in un frammento di secondo. Nessun particolare, anche il più impercettibile, sfugge all’occhio meccanico di questo nuovo mezzo tecnico dall’enorme potere di disvelamento. E i sorprendenti scatti di Porry stanno lì a dimostralo…