K metro 0 – Abu Dhabi – La via di Damasco favorisce le conversioni… A cominciare da San Paolo, folgorato dalla nuova fede cristiana. Sulla via di Damasco si è incamminato, più prosaicamente, anche il ministro degli Esteri degli Emirati Arabi Uniti, Sheikh Abdullah bin Zayed al-Nahyan, per incontrare, martedì, il presidente siriano Bashar al-Assad.
K metro 0 – Abu Dhabi – La via di Damasco favorisce le conversioni… A cominciare da San Paolo, folgorato dalla nuova fede cristiana.
Sulla via di Damasco si è incamminato, più prosaicamente, anche il ministro degli Esteri degli Emirati Arabi Uniti, Sheikh Abdullah bin Zayed al-Nahyan, per incontrare, martedì, il presidente siriano Bashar al-Assad.
Col “nobile” intento di migliorare i rapporti tra Damasco e uno Stato del Golfo alleato degli Stati Uniti, che hanno criticato questa mossa come un tentativo di riabilitare quello che definiscono un “brutale dittatore“.
Abdullah bin Zayed al-Nahyan, è il più alto dignitario degli Emirati a visitare la Siria nel decennio intercorso dallo scoppio di una guerra civile in cui diversi Stati arabi hanno appoggiato principalmente gli insorti musulmani sunniti contro Assad.
Questo rapprochement è considerato da molti osservatori come un segno degli sforzi regionali per porre fine all’isolamento diplomatico di Assad mentre la Siria è alle prese con una crisi economica vertiginosa causata da anni di conflitto e aggravata dalle sanzioni occidentali.
Nell’incontro di Damasco si è “discusso delle relazioni bilaterali tra i due Paesi fratelli e dei modi per sviluppare la cooperazione in diversi settori d’interesse comune“, ha scritto l’agenzia di stampa statale siriana SANA .
Mentre l’agenzia di stampa statale degli Emirati Arabi Uniti WAM, ha sottolineato il “sostegno degli Emirati a tutti gli sforzi compiuti per porre fine alla crisi siriana, consolidare la stabilità nel paese e soddisfare le aspirazioni del fraterno popolo siriano”.
Ma quest’atmosfera da “embrassons nous” è stata subito guastata dall’aspra reazione degli Stati Uniti, il principale alleato degli Emirati, che non hanno tardato a manifestare la loro preoccupazione per il segnale inviato dall’incontro.
“Questa amministrazione non esprimerà alcun sostegno agli sforzi per normalizzare o riabilitare Bashar al-Assad, che è un brutale dittatore”, ha detto ai giornalisti il portavoce del Dipartimento di Stato Ned Price.
Gli Emirati Arabi Uniti avevano interrotto le relazioni con Damasco mentre la repressione dei movimenti di protesta siriani, che chiedevano un cambio di regime, stavano sfociando in una guerra civile devastante che da allora ha causato quasi mezzo milione di morti.
Ma nel dicembre 2018 gli Emirati hanno riaperto la loro ambasciata a Damasco, allo scopo di riportare il governo siriano nell’orbita araba, ovvero di sottrarlo alla sfera d’influenza dell’Iran, storico rivale regionale del piccolo Stato del Golfo.
Nel marzo scorso, inoltre, gli Emirati hanno auspicato il ritorno della Siria nella Lega Araba, dopo essere stati uno dei principali sostenitori della sua sospensione nel novembre 2011.
Anche l’Egitto, dove ha sede l’organizzazione pan-araba, si è espresso a favore, martedì, del ripristino delle relazioni con la Siria, a condizione però che Damasco affronti finalmente le conseguenze umanitarie della guerra civile che ha devastato il paese.
Ma la verità è che, al di là d’ogni retorica, le iniziative diplomatiche oggi in corso sono essenzialmente manovre di realpolitik. Damasco ha un disperato bisogno di aiuti internazionali, in particolare dai paesi arabi vicini, ricchi di petrolio che hanno sostenuto l’opposizione siriana nei primi giorni della guerra.
Il mese scorso, il ministero dell’Economia degli Emirati Arabi Uniti ha espresso il suo sostegno ai piani futuri per migliorare la cooperazione economica con Damasco. Gli Emirati Arabi Uniti sono il partner commerciale globale più importante della Siria, con una quota del 14% del commercio estero siriano.
Il mese scorso, anche il principe ereditario di Abu Dhabi, Sheikh Mohammed bin Zayed al-Nahyan – il sovrano de facto degli Emirati Arabi Uniti – ha discusso degli sviluppi in Siria con Assad durante il secondo colloquio telefonico tra i due leader dal marzo dello scorso anno.
Gli Emirati, insomma, sono “l’ancora di salvezza di Assad” dopo le paralizzanti sanzioni occidentali, come ha osservato giustamente Nicholas Heras, un esperto del Newlines Institute di Washington.
Ma gli Emirati non sono l’unico paese arabo che si avvicina al regime siriano. Lo scorso ottobre, Assad ha chiamato il re Abdullah II di Giordania per la prima volta dall’inizio del conflitto siriano. Giorni addietro, i due vicini avevano riaperto un importante valico di frontiera.
Gli Emirati Arabi Uniti sono uno dei sei Stati membri del Consiglio di cooperazione del Golfo che aveva preso una posizione dura contro Damasco nel 2012 e alla fine aveva riconosciuto un gruppo ombrello dell’opposizione come rappresentante legittimo della Siria.
Da allora, ne è passata di acqua sotto i ponti, che rischia di cancellare le tracce di un lungo scontro, cruento, con un regime che ha seminato morti e distruzioni, ha violato i diritti imani e ha fatto ampio ricorso alla tortura.
Come è emerso nel processo di Coblenza, in Germania, contro esponenti del regime, nell’aprile del 2020. E come è stato documentato dal ritrovamento, in una città nel cuore dell’Europa, di 321 scatole di cartone, chiuse in una stanza blindata, che raccolgono i documenti sui crimini di guerra del regime siriano di Bashar al Assad.
Ma oggi è l’ora della realpolitik: alcune potenze regionali vedono il rapprochement con Damasco come un modo per sottrarre la Siria all’orbita dell’Iran, un convinto sostenitore del governo di Assad che ha rafforzato la sua influenza militare in Siria nel corso del conflitto.
(FRANCE 24/AFP/REUTERS)