K metro 0 – Roma – In questi giorni arriva in sala, dopo l’esordio alla Mostra del cinema di Venezia di quest’anno, di cui è stato il film di apertura, il nuovo film di Pedro Almodovar. Le tematiche trattate sono quelle tipiche del regista spagnolo. La maternità, il rapporto con il passato personale e storico,
K metro 0 – Roma – In questi giorni arriva in sala, dopo l’esordio alla Mostra del cinema di Venezia di quest’anno, di cui è stato il film di apertura, il nuovo film di Pedro Almodovar.
Le tematiche trattate sono quelle tipiche del regista spagnolo. La maternità, il rapporto con il passato personale e storico, il coraggio di superare gli schemi imposti dalla società nei rapporti di coppia. Questa volta’ pero’ c’è qualcosa in più. La ricerca della verità. La protagonista, una affermata fotografa ben interpretata da Penelope Cruz, resta involontariamente incinta di un antropologo forense a cui vuole dare l’incarico di riesumare il corpo del nonno, ucciso in una rappresaglia franchista, durante la guerra civile spagnola e gettato in una fossa comune insieme ad altri sostenitori del governo repubblicano.
In ospedale, la fotografa conosce un’altra ragazza interpretata dalla brava Milena Smith, anch’essa madre single. I due bambini nascono insieme, ma così “insieme” da avere destini che percorrono parallele anomale, perché portate ad incrociarsi.
Due trame, quella storica dell’esumazione delle stragi franchiste e quella memodrammatica dei destini incrociati delle due bambine, destinate a risolversi grazie alla dolorosa ricerca della verità.
Le vittime franchiste potrebbero essere lasciate nella loro anonima fossa comune e le appartenenze genetiche potrebbero rimanere quelle volute dal caso, ma Almodovar sembra mosso da un imperativo, arrivare dove la storia e la vita si uniscono illuminandosi con la dolorosa luce della verità.
Forse non uno dei suoi film migliori (“Tutto su mia madre” e “Tutto su di lei” restano i suoi film migliori), ma sicuramente un film coraggioso, dove si torna a parlare di valori basilari e non di virtualità.
di Alessandro Corsi