K metro 0 – Parigi – Sono passati più di 60 anni da quando la Francia effettuò il suo primo test atomico nel profondo Sahara algerino, che la rese la quarta potenza nucleare del mondo dopo Stati Uniti, URSS e Gran Bretagna. Era il 13 febbraio 1960. Nel deserto della regione di Reggane – non
K metro 0 – Parigi – Sono passati più di 60 anni da quando la Francia effettuò il suo primo test atomico nel profondo Sahara algerino, che la rese la quarta potenza nucleare del mondo dopo Stati Uniti, URSS e Gran Bretagna.
Era il 13 febbraio 1960. Nel deserto della regione di Reggane – non proprio completamente deserta… il sito distava appena 70 chilometri da alcuni villaggi – fu inaugurata l’operazione “Gerboise bleue”. Il primo test nucleare francese e il più potente di sempre. Furono fatti detonare 70 kilotoni. Un’esplosione quattro volte la potenza della bomba su Hiroshima, con tutto il suo corredo di radiazioni.
Nel giro di 48 ore la nube radioattiva si propagò verso l’Africa Centrale e raggiunse anche le coste spagnole e siciliane. Ancora oggi è visibile, anche dalle immagini satellitari, l’imponente cratere nero che carbonizza il terreno.
Altri test seguirono. Tra il 1960 e il 1966, la Francia ha condotto 17 esperimenti nucleari, nell’atmosfera o nel sottosuolo, vicino alla città di Reggane, 1.200 chilometri da Algeri, e nei tunnel di montagna del sito di In Ekker.
Undici di essi furono condotti dopo gli accordi di Evian del 1962, che garantirono l’indipendenza dell’Algeria, ma includevano un articolo che permetteva alla Francia di usare i siti fino al 1967.
Complessivamente, la Francia ha fatto esplodere 210 testate nucleari in vari siti, soprattutto in Polinesia. Ed è proprio da qui che la questione dei test nucleari è tornata alla ribalta, dopo che il presidente Emmanuel Macron in visita nella Polinesia francese, ha detto martedì che Parigi aveva “un debito” con il territorio del Sud Pacifico per gli esperimenti atomici effettuati tra il 1966 e il 1996.
I danni provocati dalle mega-esplosioni alle persone e all’ambiente nelle ex colonie restano fonte di profondo risentimento. Visti come dimostrazione di atteggiamenti coloniali discriminatori e di disinteresse per le vite locali, la loro eredità continua ad avvelenare le relazioni tra l’Algeria e la Francia.
“Le malattie legate alla radioattività sono trasmesse come un’eredità, generazione dopo generazione”, ha detto Abderahmane Toumi, capo del gruppo algerino di sostegno alle vittime El Gheith El Kadem.
“Finché la regione è inquinata, il pericolo persisterà“, ha aggiunto, citando gravi conseguenze sulla salute, da difetti alla nascita e tumori ad aborti e sterilità.
Ancora oggi la questione degli effetti dei test nucleari, rimasta un tabù per decenni, è aperta tra la Francia e l’Algeria. E con essa anche quella dei risarcimenti e della decontaminazione dei siti, che resta una delle principali controversie.
Per non disperdere la memoria, nel luglio del 2020, il presidente algerino Tebboune e Emanuel Macron hanno affidato la stesura di rapporti sul dominio coloniale francese agli storici Benjamin Stora e Abdelmadjid Chikhi, che hanno lavorato sulla questione degli archivi relativi al nucleare e sugli scomparsi nella guerra d’indipendenza algerina.
Negli anni ’60 la Francia seppelliva tutte le scorie radioattive dei test algerini nelle sabbie del deserto, e per decenni ha rifiutato di rivelare le loro posizioni.
La Francia non ha avviato alcuna iniziativa per decontaminare i siti e non ha intrapreso alcun atto umanitario per risarcire le vittime”, ha detto l’ex ministro algerino Tayeb Zitouni.
Da Parigi, però, il ministero della Difesa fa sapere che Francia e Algeria stanno ormai trattando “l’intera questione al più alto livello dello Stato“.
“La Francia ha fornito alle autorità algerine le mappe di cui dispone”, ha dichiarato il ministero.
La nube radioattiva di un test del 1962 ha fatto ammalare almeno 30.000 persone, secondo stime rivelate dell’agenzia di stampa nazionale algerina nel 2012.
“La Francia deve assumersi le sue responsabilità storiche”, ha proclamato il generale Bouzid Boufrioua.
Il presidente Tebboune, tuttavia, ha escluso qualsiasi richiesta di risarcimento, dichiarando al settimanale “Le Point” che “rispettiamo talmente i nostri morti che una compensazione finanziaria equivarrebbe a uno sminuimento. Non siamo un popolo che chiede l’elemosina”.
La Francia ha approvato una legge nel 2010 che prevede compensazioni per “le persone che soffrono di malattie derivanti dall’esposizione alle radiazioni dei test nucleari effettuati nel Sahara algerino e in Polinesia tra il 1960 e il 1998“.
Ma su 50 algerini che hanno avanzato richieste di risarcimento, solo uno, un soldato che era di stanza in uno dei siti, “ha potuto ottenere un risarcimento”, secondo l’ICAN (un movimento internazionale per l’abolizione delle armi atomiche).
Il trattato del 2017 sulla proibizione delle armi nucleari obbliga gli Stati a fornire un’assistenza adeguata alle persone colpite dall’uso o dai test delle armi nucleari.
È stato firmato da 122 paesi membri delle Nazioni Unite, ma da nessuna delle potenze nucleari. La Francia ha sostenuto che il trattato è “incompatibile con un approccio realistico e progressivo al disarmo nucleare“.
(AFP)