K metro 0 – Roma – Nel 1980 si costituì il “pool” antimafia tra Magistrati e Forze di Polizia, al fine di evitare la dispersione delle informazioni tra i singoli giudici impegnati in indagini e processi di mafia e permettere di coordinarsi nella lotta al comune nemico. In quel gruppo emersero naturalmente i talenti di
K metro 0 – Roma – Nel 1980 si costituì il “pool” antimafia tra Magistrati e Forze di Polizia, al fine di evitare la dispersione delle informazioni tra i singoli giudici impegnati in indagini e processi di mafia e permettere di coordinarsi nella lotta al comune nemico.
In quel gruppo emersero naturalmente i talenti di Falcone e Borsellino, dotati di “grande intelligenza, grandissima memoria e grande capacità di lavoro”, come fu affermato da un loro estimatore.
Nel 1982 venne creato il reato specifico di associazione mafìosa (art. 416 bis cod. pen.) che il pool avrebbe utilizzato per ampliare le investigazioni sul fronte bancario, e per tracciare i movimenti dei capitali riciclati anche nelle aree del settentrione.
Nel 1991 Borsellino – già Procuratore a Marsala – chiese di tornare a Palermo, seppure in veste di Procuratore aggiunto. La mafia lo aveva condannato a morte sin dal settembre di quell’anno, ma l’interessato, che pure era a conoscenza del piano criminale, non si rattenne dal suo impegno per l’affermazione del diritto, vissuto con dedizione quasi missionaria.
Dopo l’assassinio del collega-fratello Giovanni Falcone, disse:.« ricordo ciò che mi disse Ninni Cassarà allorché ci stavamo recando assieme sul luogo dove era stato ucciso il dottor Montana alla fine del luglio 1985:”Convinciamoci che siamo dei cadaveri che camminano”».
Nell’ultima sua intervista ad un giornale Borsellino parlò lucidamente dei legami tra la mafia e l’ambiente industriale milanese e del Nord Italia in genere. Il 19 luglio 1992 una carica di tritolo lo uccise con 5 agenti della scorta, e cinque giorni dopo, ai funerali religiosi, Antonino Caponnetto, l’anziano magistrato che aveva guidato l’ufficio di Falcone e Borsellino, disse. «Caro Paolo, la lotta che hai sostenuto dovrà diventare e diventerà la lotta di ciascuno di noi».
Quei giovani che oggi trascinano il loro “esistere”inseguendo effimeri simulacri di felicità (danaro, potere, sessualità bulimica), possono tornare a “vivere”riscoprendo la dignità di un percorso umano illuminato dalle luce di una Fede- anche laica, come insegnava Pertini – che ne animi lo spirito e dia un segno compiuto al loro percorso terreno.
In tale prospettiva dobbiamo ricordare uomini come Borsellino, martire della legalità, per raccoglierne il testimone ideale, onde non disperdere e vanificare il sacrificio suo e di altri coraggiosi servitori dello Stato. Ciò anche nella consapevolezza che la Cultura, nel cui ambito va ricondotta quella della legalità, non è un mero apprendimento di nozioni, ma una palestra di discernimento e, quindi, di libertà e di democrazia.
Oggi destinare risorse economiche ad una cultura, non autoreferenziale e truffaldinamente fabbrica di illusioni, torna utile anche per prevenire che l’abbandono totale o parziale della scuola, chiamata a rafforzare il suo impegno educativo, possa portare a forme estreme di “disagio giovanile” (parola forse fin troppo eufemistica), che vanno dall’uso allo spaccio di droga, sino a forme di vera e propria delinquenza organizzata, magari anche a sfondo razziale.
Prevenire costa assai meno che investire in nuove carceri o nel presidio armato dell’intero territorio nazionale, che può valere come deterrente al crimine nel breve periodo, ma non può certo divenire una misura “strutturale”.
Va altresì evidenziato, sotto il profilo della responsabilità penale in merito ad un crimine commesso, che i procedimenti neuronali sono influenzati dalla cultura e dall’educazione ricevute, che ci permettono di capire meglio le ragioni per compiere o meno una data azione. Il vivere consociativo è fondamentale, a sua volta, per poter recepire i valori condivisi dalla collettività e quelli dalla stessa rifiutati come disvalori.
L’individuo – in estrema sintesi – ha bisogno di realizzarsi non come monade isolata, bensì come zoon politikon (animale politico), per crescere e svilupparsi non solo sotto il profilo del sapere, ma anche sotto quello biologico.
Tornare ad investire in cultura, significa camminare sul tracciato delineato nel secolo scorso dal Carnelutti nella prospettiva della società ideale da lui vagheggiata, che era quella di un consorzio dove sarebbe bastata la spontanea adesione alla comune morale naturale per vivere armoniosamente; ma poiché nel tempo breve la conflittualità di interessi non poteva risolversi con l’elevata coscienza morale dell’umanità intera, ecco che doveva intervenire con la forza delle proprie sanzioni il diritto.
Esso, secondo la testuale definizione del Carnelutti medesimo “è un surrogato della libertà e, surrogandola, la sopprime (…). Il diritto c’è sempre stato perché l’umanità, dopo la caduta, ha dovuto cominciare dal basso, ma non sempre ci sarà, perché procede verso l’alto. Man mano che l’ordine etico va acquistando la sua forza, il diritto perderà la sua ragione. Noi abbiamo, d’altra parte, dei mezzi per ottenere questo rafforzamento. L’estrema lentezza dei risultati non deve scoraggiarci. Noi lavoriamo per i secoli futuri”.