K metro 0 – Roma – Alla galleria dei Presidenti della Repubblica appartiene Alcide De Gasperi (Pieve Tesino, 3 aprile 1881- Borgo Valsugana, 19 agosto 1954) ,che fu l’ultimo Presidente del Consiglio dell’età regia ed il primo di quella repubblicana, in un susseguirsi di 8 governi a sua guida, dal 10 dicembre 1945 al 4
K metro 0 – Roma – Alla galleria dei Presidenti della Repubblica appartiene Alcide De Gasperi (Pieve Tesino, 3 aprile 1881- Borgo Valsugana, 19 agosto 1954) ,che fu l’ultimo Presidente del Consiglio dell’età regia ed il primo di quella repubblicana, in un susseguirsi di 8 governi a sua guida, dal 10 dicembre 1945 al 4 aprile 1953
Oltre ad aver favorito -unitamente a re Umberto – il trapasso indolore dell’Italia dalla Monarchia ala Repubblica, ricoprì provvisoriamente la carica di Presidente della Repubblica – seppure per soli quindici giorni – dal 13 al 28 giugno 1946, in base a quanto disposto dal Decreto legislativo luogotenenziale 16 marzo 1946, n. 98, alla cui stregua il Presidente del Consiglio dei Ministri fu chiamato ad esercitare anche le funzioni di Capo Provvisorio dello Stato.
Nel testamento politico redatto a Roma agli inizi del 1943, che avrebbe dovuto pubblicarsi dopo la sua morte, è sintetizzato il pensiero del leader democristiano, il quale scrisse che la ricostruzione dello Stato italiano doveva avvenire in un regime di libertà,senza indugiare in discussioni ideologiche alla ricerca dello Stato ideale, né lasciarsi turbare dai miti d’una palingenesi rivoluzionaria, dando mano con sereno realismo “a quella forma migliore di governo che più s’adatti alle condizioni morali e sociali del popolo italiano nel nuovo periodo storico del dopoguerra continentale e mondiale. “
Le libertà essenziali erano quelle congiunte ai diritti della persona umana, della famiglia e del lavoro; ma era pur vero che- soggiunse- “solo la libertà morale dell’individuo, cioè la sua volontà di giustizia e il suo amore per gli uomini, il suo timore di Dio, possono darci la liberta sociale; che le leggi della politica derivano dalle leggi della coscienza morale ed infine che il settore delle attività umane sul quale possono lavorare e influire i costruttori di sistemi rappresentativi e amministrativi è assai limitato, in confronto di quello ben più esteso e ben più essenziale, che é affidato agli educatori delle coscienze, ai cultori del pensiero, ai maestri di morale e di religione. “
Instaurare la pace del popolo, abolire cioè i privilegi di partito e di classe, ridestare nei cittadini il senso della responsabilità e l’interessamento, per la pubblica cosa, doveva essere la prima meta della libertà politica, eliminando quindi ogni discriminazione di partito, di classe e di razza, attraverso il suffragio universale.
La liberta politica era legata a quella economica e la democrazia senza la giustizia sociale sarebbe stata una chimera o una truffa. Accanto a quella che era stata detta la “democrazia formale” bisognava costruire la democrazia sostanziale, riformando cioè la struttura sociale.
Avvertì che al centro di ogni agire doveva porsi la coscienza morale, che alla fine decideva anche dei rapporti sociali e della buona o cattiva amministrazione e – proseguì-“ oggi alla fine di un periodo che porta seco tanta corruzione, sentiamo, che nessuna riforma, nessuna legge ci salverà, nessuna giustizia sociale sarà possibile, se tutti e specie le classi dirigenti, cioè gli amministratori dei beni e gli esecutori delle leggi, non diventeranno personalmente più giusti. “
Tutti avvertivano che il senso di giustizia personale, evangelico “tratta il prossimo come te stesso”, era il principio vitale dell’Italia e del mondo e la premessa indispensabile di quel solidarismo sociale, che doveva ispirare popoli e governi e che doveva opporsi ai miti di razza, di classe, o di partito del totalitarismo statale. “Già da questo senso di libertà morale e per questa essenziale preoccupazione dello spirito, noi non potremmo affidarci alla corrente del marxismo anche se il sistema comunista ci portasse economicamente al massimo della produzione ed alla più equa distribuzione dei beni, perché sappiamo, ormai anche per esperienza, che per reggere una società che non supponga né alimenti il senso di responsabilità verso l’autorità divina, l’autorità umana deve ricorrere ad un massimo di coercizione e repressione, fino alla più spietata tirannia.”
Salve tali premesse di principio , bisognava ammettere che il progresso sociale consisteva in una comunicazione sempre maggiore dell’uso dei beni a vantaggio di tutti; e che il concentramento invece della ricchezza in poche mani abbassava il quoziente minimo dei beni di ciascuno e dava modo ai potenti di asservire i deboli e di impadronirsi dei gangli della vita politica e sociale. La politica economica doveva quindi proporsi da una parte la redenzione del proletariato, rendendolo compartecipe dell’azienda, cioè delle fonti della proprietà o comunque proprietario, e dall’altra una redistribuzione della ricchezza la quale significasse una riparazione di giustizia sociale e assicurasse la riconquistata libertà.
Occorreva tendere “ad uno Stato sociale” in cui il massimo numero possibile di uomini conducesse ad una vita fondata sulla proprietà e su una sfera autonoma di lavoro, il che non poteva avvenire col cieco automatismo delle forze in libera gara, come aveva sperato il liberalismo classico, ma si formava sotto il vigile controllo dello Stato che doveva intervenire a disciplinare le forze libere e preservarle dagli uomini di preda.
In tale contesto, era necessario favorire le cooperative di produzione, promuovendo la cointeressenza dei lavoratori ed introducendo varie forme di azionariato operaio. Bisognava – per converso- battere le concentrazioni industriali-finanziarie, creazioni artificiose dell’imperialismo economico.
Il suo impegno di Statista mirò a concretizzare i ricordati principi morali e politici, agendo costantemente per il bene della collettività, ed accettando amare incomprensioni nel segno di una Croce vissuta con limpida ed esemplare coerenza sino all’ultimo respiro.