K metro 0 – Naypyidaw – Migliaia di persone protestano nella città principale del Myanmar, mentre si allarga la disobbedienza civile nel Paese. I manifestanti sono scesi oggi nelle strade di Yangon per denunciare il colpo di stato e chiedere il rilascio del leader eletto Aung San Suu Kyi. La protesta è avvenuta nonostante gli
K metro 0 – Naypyidaw – Migliaia di persone protestano nella città principale del Myanmar, mentre si allarga la disobbedienza civile nel Paese. I manifestanti sono scesi oggi nelle strade di Yangon per denunciare il colpo di stato e chiedere il rilascio del leader eletto Aung San Suu Kyi.
La protesta è avvenuta nonostante gli sforzi dei militari per fermare la mobilitazione delle persone, bloccando “fino a nuovo avviso” l’accesso ai social media. Infatti, la manifestazione viene considerata la prima del suo genere, da quando i generali hanno preso il potere. Palloncini e nastri rossi, il colore della Lega nazionale per la democrazia, sono spuntati un po’ ovunque su negozi e case a Yangon. La protesta coinvolge un numero sempre maggiore di gruppi sociali, da ultimo gli insegnanti: indossando nastri rossi e tenendo cartelli di protesta, decine di professori si sono radunati davanti agli edifici della Dagon University a Yangon.
Human Rights Watch ha chiesto immediatamente la revoca delle restrizioni su Internet, il rilascio dei detenuti e la fine delle minacce contro i giornalisti. I media locali hanno riferito che circa 30 persone sono state arrestate a seguito delle proteste. Intanto, sono state segnalate anche proteste anti-golpe a Melbourne, in Australia, e nella capitale taiwanese Taipei, riporta la Reuters.
Il Myanmar è un paese di 54 milioni di persone nel sud-est asiatico che confina con Bangladesh, India, Cina, Thailandia e Laos. Il Paese è attualmente sotto processo da parte della Corte internazionale di giustizia (ICJ) per il crimine di genocidio contro il popolo Rohingya, entrambi le amministrazioni sia militare che politica, sono responsabili della grave violazione dei diritti umani dei Rohingya e, il golpe di oggi, potrebbe ostacolare le poche possibilità di rimpatrio per i 600.000 profughi.