K metro 0 – Roma – Per il G-20 di Buenos Aires, il Fondo Monetario Internazionale ha preparato un Memorandum, la “G 20 Surveillance note”, in cui tutti i Paesi sono invitati a perseguire politiche che sostengano la crescita di lungo periodo, contribuendo a una riduzione degli squilibri con l’esterno, ma che allo stesso tempo
K metro 0 – Roma – Per il G-20 di Buenos Aires, il Fondo Monetario Internazionale ha preparato un Memorandum, la “G 20 Surveillance note”, in cui tutti i Paesi sono invitati a perseguire politiche che sostengano la crescita di lungo periodo, contribuendo a una riduzione degli squilibri con l’esterno, ma che allo stesso tempo creino adeguati spazi di bilancio nelle singole contabilità nazionali: spazi indispensabili, per promuovere qualsiasi politica keynesiana di rilancio degli investimenti pubblici e di sostegno generale all’economia.“Stimoli di bilancio pro-ciclici dovrebbero essere evitati e cuscinetti di bilancio ricostruiti”, sottolinea il Fondo, “nei Paesi in cui i conti pubblici sono su una traiettoria insostenibile e il deficit è eccessivo (Stati Uniti) o in cui la posizione è vulnerabile alla perdita di fiducia del mercato (Italia)”.
Venendo specificamente all’Italia, nel documento del FMI, leggiamo che, nel nostro Paese, “condizioni finanziarie più stringenti e l’incertezza sulle future politiche possono rallentare la crescita”: è un invito al Governo italiano (peraltro scontato e prevedibile) ad avviare un maggior risanamento della finanza pubblica e una politica del credito che dia più sostegno ad imprese e famiglie; e al tempo stesso, l’ auspicio che l’Italia avvii finalmente una fase di stabilità politica (essenziale, a sua volta, anche per richiamare investimenti dall’ estero). Ma intanto, nell’ultimo aggiornamento del World Economic Outlook, (sito imf.org), il Fondo ha rivisto verso il basso le previsioni dell’aprile scorso sull’andamento dell’economia italiana: che dovrebbe crescere, quest’anno, solo dell’1,2%, con un ulteriore rallentamento a +1,0% il prossimo anno. Queste previsioni son state confermate ultimamente (con quasi le stesse cifre) anche dall’ ISTAT e dall’ Ufficio di Bilancio del Parlamento. “La ripresa economica in Italia- scrive la nota dell’UBP – ha parzialmente perso slancio e rischia di avere un effetto trascinamento anche sul 2019”. Ma si tratta d’ un trend che sta caratterizzando un po’ tutte le economie avanzate: anche per Germania e Francia, infatti, l’FMI ha rivisto al ribasso di 0,3 punti la stima di crescita PIL del 2018, mentre per Regno Unito e Giappone il taglio è di 0,2 punti. Per gli USA, il Fondo conferma un PIL a +2,9% nel 2018 e a +2,7% il prossimo anno: mentre l’Euro zona dovrebbe registrare una crescita complessiva del 2,4% quest’anno e del 2,2% il prossimo. Nella media, la crescita delle economie avanzate dovrebbe confermarsi quest’anno al +2,4%, stesso livello del 2017: per poi scendere a +2,2% il prossimo anno.
“Le tensioni commerciali – ha detto, riferendosi, invece, a tutto il mondo, Christine Lagarde, Direttore generale del FMI, nel citato Memorandum – stanno già lasciando un segno, ma l’entità del danno dipenderà da cosa i politici faranno; e, visto che sfortunatamente la retorica è diventata realtà con le misure protezionistiche, ci potranno essere effetti sull’economia globale… L’output globale potrà ridursi dello 0,1% nel 2020, e se la fiducia degli investitori sarà minata, il PIL globale potrebbe calare di mezzo punto percentuale, ovvero circa 430 miliardi di dollari, da qui al 2020”.
A questa preoccupante tendenza, l’Unione Europea – come stiamo regolarmente informando su “K metro 0” – reagisce con scelte di segno opposto anzitutto con la firma, pochi giorni fa a Pechino, di vari accordi, in senso liberoscambista, con la Cina (nella conferenza stampa congiunta con il premier cinese Li Keqiang e il presidente della Commissione UE, Jean-Claude Juncker, il presidente del Consiglio europeo, Donald Tusk, ha lanciato un appello affermando che “E’ comune dovere di Ue, Cina, Usa e Russia non iniziare guerre commerciali. C’è ancora tempo per prevenire il conflitto e il caos”).
E’ seguita, il 17 luglio a Tokyo, la conclusione del JEFTA (Japan-Eu Free Trade Agreement), grande accordo commerciale tra UE e Giappone che faciliterà gli scambi commerciali nippo-europei, soprattutto in campo agroalimentare e automobilistico. Il trattato si propone anche di superare gli ostacoli normativi, le differenze di norme e requisiti tecnici, procedure di approvazione dei prodotti e dei controlli, che attualmente rendono più complicato e costoso il commercio da e verso il Sol Levante.
Diversamente che per il TTIP, l’accordo generale di libero scambio UE-USA (mai concluso), e per il CETA, l’analogo accordo UE-Canada (entrato provvisoriamente in vigore a settembre scorso, in attesa della ratifica da parte dei singoli Parlamenti nazionali europei), il JEFTA, per diventare operativo, attende solo il via libera della Dieta giapponese e dell’Europarlamento. Il giudizio positivo, già espresso, un po’ da tutti i Parlamenti e Governi nazionali, deriva anzitutto dagli alti livelli di rispetto per l’ ambiente, tutela della salute dei consumatori, tutela delle eccellenze commerciali (specie nel settore agricolo-alimentare), sia europee che giapponesi, difesa degli standard economici e normativi assicurati dai contratti collettivi nazionali di lavoro e rispetto dei diritti complessivi dei lavoratori che l’accordo, pur nella sua filosofia di base liberoscambista, si propone di assicurare (cosa che non si poteva obbiettivamente dire per il TTIP, e che è in corso di “Verifica sul campo” per il CETA).
Mentre i pericoli legati al fatto che il Giappone è il Paese col maggior numero, al mondo, di colture OGM negli alimenti umani e animali possono essere contrastati grazie al principio di precauzione (sancito dal Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea, TFUE, entrato in vigore col Trattato di Lisbona del 2009, erede, a sua volta, dei Trattati di Roma del ’57 e di Maastricht del ’92): che consente all’ UE di adottare misure preventive, in caso di possibili rischi per gli esseri umani e per l’ambiente legati alla qualità dei prodotti importati da un altro Paese, qualora vi siano “prove preliminari obiettive” di tali rischi, anche in presenza di “incertezza scientifica in merito”. Inoltre, spiegano dalla Commissione Europea, “l’accordo non renderà meno stringenti le norme di sicurezza né richiederà alle parti di modificare le proprie scelte di politica interna su questioni quali l’uso di ormoni o di organismi geneticamente modificati”.
Insomma, alla “guerra commerciale mondiale” cui sembra prepararsi l’America (al ricorso cinese, di pochi giorni fa, al WTO, l’Organizzazione Mondiale del Commercio, contro la minaccia di dazi aggiuntivi al 10% annunciati dagli USA sull’import ‘made in China’, gli Stati Uniti replicano puntando il dito proprio contro Cina, Unione Europea, Canada, Messico e Turchia, per le misure ritorsive decise dopo i dazi sull’alluminio e l’acciaio imposti dagli USA), la UE risponde cercando alleati appunto in Estremo Oriente. Mentre incerti, sul piano non solo commerciale ma anche geopolitico, rimangono – nonostante decenni d’ amicizia, cresciuta ancor più dopo il crollo dei Muri dell’Est dell’89 -’91 – i rapporti UE- Russia: complicati dalle sanzioni adottate dall’Europa in risposta alle mosse “neo sovietiche” di Mosca, nei confronti di Ucraina e Crimea, dal 2014 in poi.
Nonostante tutto, comunque, il dialogo commerciale tra le due sponde dell’Atlantico prosegue: “La prossima settimana – ha detto la commissaria UE al Commercio, Cecilia Malmstroem, a un evento organizzato dal German Marshall Fund a Bruxelles -io e Juncker andremo a Washington con uno spirito di lunga amicizia tra USA e UE: vogliamo trovare soluzioni e arrivare ad una de-escalation della situazione attuale”. “Ci auguriamo – ha aggiunto – di trovare dei modi per lavorare insieme e fare progressi su una agenda del commercio (incontrando vari parlamentari e imprenditori USA, N.d.R.), in modo che entrambe le sponde dell’Atlantico possano beneficiarne”.
Alla logica puramente mercantilistica e protezionistica – di stampo, diremmo, quasi seicentesco- che sembra pervadere l’Amministrazione Trump, l’Europa replica con tutta la sua capacità politica. Mentre in Italia, il Presidente della Repubblica, Mattarella, ha espresso più volte preoccupazione per le conseguenze negative che tutta l’Europa può soffrire per l’escalation dei protezionismi.
Di Fabrizio Federici