K metro 0 – Helsinki – Sono giorni, questi, che vedono la UE, da un lato, alle prese col problema migranti (l’ultimo, secco rifiuto di Ungheria e Repubblica Ceca d’ accogliere parte dei 450 migranti fermi nel porto di Pozzallo, diversamente da quanto deciso da altri Paesi UE, è illuminante sulle ambiguità delle conclusioni dell’ultimo
K metro 0 – Helsinki – Sono giorni, questi, che vedono la UE, da un lato, alle prese col problema migranti (l’ultimo, secco rifiuto di Ungheria e Repubblica Ceca d’ accogliere parte dei 450 migranti fermi nel porto di Pozzallo, diversamente da quanto deciso da altri Paesi UE, è illuminante sulle ambiguità delle conclusioni dell’ultimo Consiglio europeo di fine giugno). Dall’altro, sempre piu’ attiva sul piano internazionale: per la necessità di bilanciare tensioni e incomprensioni ad Ovest (con gli USA) e ad Est (con la Russia) con un forte attivismo nell’ area mediterranea (vedi le dichiarazioni di Federica Mogherini del 16 luglio sull’impegno europeo per sostenere la democratizzazione interna in Libia) e asiatica (vedi, soprattutto, gli esiti del vertice UE- Cina di Pechino).
A Pechino, il presidente Xi Jinping e i leader comunitari Jean-Claude Juncker, presidente della Commissione, e Donald Tusk, presidente del Consiglio europeo, hanno firmato 6 accordi, riguardanti la cooperazione in varie politiche industriali, la denuclearizzazione della penisola coreana (dopo i risultati, più “di facciata”, del pur storico vertice di giugno tra USA e Nord Corea) , il mantenimento dell’ accordo del 2015 con l’ Iran sull’ energia nucleare (nonostante il ritiro americano), il contrasto degli eccessivi cambiamenti climatici e lo sviluppo dell’ energia pulita (temi, questi ultimi, su cui Pechino, con la sua spregiudicata politica ambientale, non è certo in grado di dare lezioni).
Ma è soprattutto una nuova politica internazionale del commercio, l’oggetto degli accordi Cina-UE: politica che Donald Tusk ha invitato ufficialmente ad avviare (invito rivolto anche ai “avversari” Trump e Putin) partendo dalla riforma del WTO, l’Organizzazione Mondiale del Commercio. L’obbiettivo è evitare un’escalation della politica dei dazi (già avviata, proprio contro Cina, Europa e Russia, dall’amministrazione Trump, col Governo russo pronto a ripagare con la stessa moneta), capace di portare a una disastrosa “guerra di tutti contro tutti”. Guerra che – ha ammonito Tusk, riecheggiando le dichiarazioni, di pochi mesi fa, della cancelliera tedesca Merkel – un domani potrebbe non essere più solo sul piano commerciale, ma – come già nell’ Europa di fine anni ’30 – diventare vero, devastante conflitto.
La validità degli accordi di Pechino, e di questi primi passi verso la definizione di regole più eque per il commercio internazionale, riceverà una prima verifica al prossimo vertice dei ministri delle Finanze del G-20 di Buenos Aires del 19-22 luglio. Ai margini del summit pechinese (il 20mo da quando iniziò il dialogo CEE – Cina, a metà anni ’70), si è parlato anche di altri 3 “fronti” molto importanti per gli interessi sia cinesi che europei: Siria, Iran e Afghanistan. Tre aree in cui, pur in situazioni geopolitiche molto diverse, da tempo si sta profilando – sullo sfondo d’un complesso gioco internazionale- un indiretto scontro russo-americano (Putin appoggia fortemente sia Assad che gli ayatollah iraniani: mentre ambigua è la politica russa verso l’Afghanistan, dove la NATO, in lotta coi talebani, prevede di restare sino almeno al 2025). In tutte e 3 le aree, UE e Cina (interessata soprattutto all’ Afghanistan, zona di essenziale passaggio della nuova “Via della seta”, con capitali cinesi ed europei già ora impegnati a realizzare nuove strade e ferrovie) possono svolgere un importante ruolo di mediazione e raffreddamento delle tensioni. L’ Europa, su questo piano (oltre al fatto che vari contingenti europei, inquadrati nelle forze NATO, da anni sono presenti in Afghanistan, Paese che non conosce pace sin dall’ invasione sovietica del 1979), offre, in sostanza, aiuti tecnologici e finanziari a Pechino: sperando, probabilmente, di inserirsi nell’economia afghana in modo piu’ ufficiale di quanto stava accadendo, a fine ‘900, con gli accordi tentati sottobanco col regime dei talebani.
Ad Helsinki, intanto, gli esiti del vertice fra Putin e Trump (reduce, quest’ultimo, dalla visita in Inghilterra, dove , a detta del premier britannico Teresa May, avrebbe “soffiato” sul fuoco della Brexit, consigliando alla Premier di fare addirittura causa alla UE) hanno confermato – al di là dei comunicati ufficiali – l’indebolimento di quello che fu lo “Spirito di Pratica di Mare” del 2007, cioè la volontà d’ avvicinamento tra i due “giganti malati” ( per dirla col titolo d’ un celebre saggio di Alberto Ronchey), alle prese coi nuovi problemi del Duemila. “E’ arrivato il momento di parlare sul serio delle nostre relazioni e dei problemi del mondo”, ha detto, in apertura del vertice, Vladimr Putin: e i temi difficili del nuovo confronto russo-americano non mancavano, dal nucleare ai dazi, appunto, dalla Cina all’ Iran, alla Siria, al conflitto israelo-palestinese, sino alle questioni, anche piu’ scottanti, di Ucraina e Crimea, e delle presunte interferenze russe nelle elezioni presidenziali USA del 2016 (tema su cui Trump, in patria, è incalzato soprattutto dai democratici: che sostengono d’essere vittime d’un “nuovo Watergate”, sul piano soprattutto delle frodi informatiche, organizzato dai russi). Ma almeno su un punto i due avversari, ospiti del presidente finlandese Niinisto, si son trovati d’accordo: nel ritenere nemico comune, almeno sul piano commerciale, proprio l’Europa. Inclusa domenica 15 luglio, da Trump, nella “lista nera” degli avversari (insieme peraltro – “almeno per certi aspetti” – alle stesse Russia e Cina). Mentre la Russia, al di là dei buoni rapporti, pluridecennali, con vari Paesi europei, non smette di premere sull’ Europa perché receda dalla politica delle sanzioni, adottate dal 2014, dietro effettive pressioni americane, per protesta contro l’appoggio russo ai separatisti anti-Kiev in Ucraina, e la riannessione, da parte russa, della Crimea, dopo il controverso referendum popolare del 2014.
“Abbiamo chiaramente in mente chi sono i nostri amici, gli Usa sicuramente lo sono e l’ abbiamo detto ogni volta, qualunque sia l’amministrazione” a Washington: “l’amicizia con gli Stati Uniti non cambia, li consideriamo amici, partner e lo faremo sempre”, s’è affrettata a dichiarare l’ Alto rappresentante UE per le Relazioni esterne, Federica Mogherini, al Consiglio dei ministri degli Esteri di Bruxelles del 16 luglio: commentando appunto le recenti dichiarazioni sulla UE ( in un’intervista alla CBS ) del presidente americano. Ma la sensazione che abbiamo, considerando soprattutto la complessità dei giochi in corso e degli interessi in campo, è che l’Europa è entrata in una fase decisamente nuova, quanto mai complessa, della storia mondiale. In cui non le sarà facile mantenere una politica sempre coerente e risoluta, e in cui sarà indispensabile, per gli organismi comunitari, un’attenzione continua contro giravolte e cambi di linea, di tutte le potenze, che potrebbero produrre, tra pochi anni, anche serie minacce alla pace mondiale.