K metro 0 – Roma – Esattamente cento anni fa, dal 24 al 28 Dicembre 1920, si consumava l’ultimo atto dell’impresa dannunziana di Fiume: iniziata, un anno e tre mesi prima con la marcia trionfale del Vate, alla testa dei suoi legionari, da Ronchi al posto di blocco di Cantrida, facilmente superato. Finiva con le
K metro 0 – Roma – Esattamente cento anni fa, dal 24 al 28 Dicembre 1920, si consumava l’ultimo atto dell’impresa dannunziana di Fiume: iniziata, un anno e tre mesi prima con la marcia trionfale del Vate, alla testa dei suoi legionari, da Ronchi al posto di blocco di Cantrida, facilmente superato. Finiva con le cannonate su Fiume del governo italiano (guidato, per la quinta volta, dalla vecchia volpe Giolitti): dopo che quest’ultimo, tra ottobre e novembre precedenti, aveva concluso col nuovo Stato jugoslavo il Trattato di Rapallo, soluzione di compromesso della questione fiumana (e, più in generale, adriatica) che, respingendo le pretese di Belgrado di annettere Fiume, faceva però di questa città uno Stato a sè (dove sarebbero convissuti circa 50.000 italiani e 14.000 croati), escludendo, almeno temporaneamente, la possibilità di un’annessione all’Italia. D’Annunzio e i suoi erano caldamente invitati a togliere le tende entro il 24 Dicembre: dal netto rifiuto del Vate, simmetrico a quello del Governo italiano di cercare un accordo col movimento fiumano, scattò la molla che portò al “Natale di sangue”, e alle 5 giornate di battaglia tra forze governative e legionari dannunziani (con quasi 50 morti, tra legionari, regio esercito e civili).
La storia dell’impresa di Fiume è già stata analizzata nei dettagli da storici come Renzo De Felice, Paolo Cavassini e Mimmo Franzinelli, Giordano Bruno Guerri, Giovanni Stelli, Enrico Serventi Longhi, Antonio Spinosa. Un’avventura che, per i diretti protagonisti della vicenda e per quella larga parte d’opinione pubblica, italiana e non, che simpatizzò con D’Annunzio, fu l’ultima impresa risorgimentale e mazziniana, viatico per l’immortalità del poeta abruzzese (figura comunque interessante, tuttora tra le icone di una certa destra nazionalistico-esoterica e libertaria, e capace di suscitare simpatie anche a sinistra). Per i liberali e per la sinistra storica (che snobbò gli approcci del “poeta armato”: con l’ incredibile eccezione di Gramsci, andato inutilmente nel ’21, a Gardone Riviera, per tentar di staccare del tutto D’Annunzio da Mussolini, “rimasto alla finestra” nei giorni di Fiume), avventura invece folle, capace solo di aprire la strada al fascismo.
Quel che vogliamo sottolineare, come lezione di questa vicenda, è, da un lato, il fatto che – piaccia o meno, e nella coscienza di tutti i pericoli di involuzione autoritaria presenti in avventure di questo tipo, da condottieri rinascimentali – il genuino sentimento popolare, come quello che provavano, nel 1919, appunto gli italiani di Fiume, che si vedevamo minacciati dalle mire annessionistiche di Belgrado, ignorati dall’Italia ufficiale e presi in giro dagli Alleati vincitori della “Grande guerra”, spesso abita fuori delle istituzioni della democrazia parlamentare classica, coi suoi corollari di intrighi partitocratici e giochi sottobanco.
Dall’altro, che in politica internazionale (come, del resto, interna) i magniloquenti richiami a democrazia sovranazionale, diritti dei popoli e solidarietà fra Stati spesso non sono altro che nobili coperte per ben più concreti, e cinici, interessi imperialistici. Ci riferiamo alla linea tenuta, sulla questione fiumana, dal presidente americano Wilson (1913-’21). Che, da sempre ostile a un’annessione di Fiume all’Italia, fece costantemente appello, sin dai giorni della Grande guerra, ai diritti del futuro Stato jugoslavo su tutta la costa del’ Adriatico, proponendo, per Fiume, abitata soprattutto da italiani, al massimo la soluzione della città-Stato. In palese contraddizione con quel richiamo ai fattori etnico-linguistici come elemento essenziale del diritto di un popolo alla sovranità che è fondamentale nei suoi celebri “Quattordici punti” del 1918 per la democrazia sovranazionale.
Ma altro aspetto importante dell’impresa fiumana, su cui è doverosa, oggi, a sinistra ma anche a destra, una riflessione storica diversa, è il rilievo dato da D’Annunzio, come leader della “Reggenza italiana del Carnaro”, da lui creata a settembre 1920, agli aspetti sociali e riformatori dell’esperimento. Al di là del viavai, a Fiume, di spie, doppiogiochisti e avventurieri vari, al di là dell’esaltazione dannunziano-futurista dell’azione e della stessa violenza, delle faide interne al movimento e della frattura emersa, dopo l’iniziale intesa, tra popolazione cittadina e legionari, a volte arroganti e rapaci, quest’aspetto della vicenda fiumana resta senz’altro quello più attuale e interessante.
Da gennaio 1920, infatti, il Vate vuole caratterizzare l’esperimento della Reggenza Italiana del Carnaro, che sarà proclamata ufficialmente l’8 settembre (!!) successivo, in senso non solo nazionalista e futurista, ma anche corporativo, sindacalista rivoluzionario, mazziniano e socialisteggiante. In questo, determinante è l’apporto di Alceste De Ambris (1874-1934): singolare figura di socialista toscano indipendente, militante del PSI, sindacalista rivoluzionario trai fondatori (1911) dell’USI, Unione Sindacale Italiana, amico di Mussolini e dell’altro sindacalista Filippo Corridoni (che, interventista democratico come De Ambris, morirà, in un violento assalto alle posizioni austriache, nel 1915). Avvicinatosi al fascismo, nel 19 Alceste collabora al Manifesto dei Fasci italiani di combattimento; e nel ’22, dopo Fiume, sarà, da posizioni nuovamente di sinistra democratica, tra i protagonisti del fallito tentativo dannunziano di create un movimento di destra fatto soprattutto di ex-combattenti e d’impronta piu’ mazziniana e risorgimentale, alternativo al fascismo (che, però, “arriverà primo” con la marcia su Roma). Col fascismo, De Ambris romperà poi nel ’23: optando per il volontario esilio in Francia, dove si riavvicinerà agli antifascisti e sarà anche Presidente della neonata Lega Italiana dei Diritti dell’ Uomo.
A Fiume, nel gennaio 1920, De Ambris diviene Capo di gabinetto di d’Annunzio, subentrando a Giovanni Giuriati, figura di spicco dei dannunziani moderati. Importante, nello sforzo di caratterizzare in senso sociale il “mini Stato” fiumano (sforzo che accomuna in parte De Ambris a un altro personaggio, il Nicola Bombacci della fase di Salò) è la stesura, poco dopo (opera di Alceste, poi rimaneggiata letterariamente da D’Annunzio), della “Carta del Carnaro”. Particolarissimo esempio (poi attentamente studiato da Renzo De Felice) di Costituzione capace di sposare istituzioni di democrazia diretta ispirate a quelle antiche ateniesi e ai Comuni medioevali e della Repubblica di Venezia con un impianto dello Stato su base soprattutto corporativa, e con uno spirito fortemente mazziniano (col richiamo, infatti, alla Repubblica Romana del ’49).
La Carta (proprio come già la celebre Costituzione francese, robespierrista, del 1792) resterà, purtroppo,,, sulla carta: la Reggenza Italiana del Carnaro che D’annunzio istituirà ufficialmente a settembe1920, sarà in sostanza una dittatura rivoluzionaria di stampo un po’ cromwelliano, centrata fortemente sul comando militare dannunziano e soprattutto sulla personalità del poeta, coadiuvato da un “Consiglio dei rettori”. Ma l’originalità di certe soluzioni istituzionali ideate da De Ambris colpisce tuttora; dopo aver fortemente influito non solo sulla “Carta del Lavoro” fascista del 1927 (depurata, però, dagli elementi democratico-liberali e mazziniani cari a De Ambris) e, chiaramente, sulla politica economico- istituzionale della RSI (dal progetto di Costituzione ideato da Carlo Alberto Biggini all’esperimento della socializzazione delle aziende), ma anche, con qualche riverbero, sulla Costituzione repubblicana del 1946.
Ma intanto, ecco il Natale di sangue del 1920. Dopo i primi scontri nel pomeriggio del 24 Dicembre e la parziale tregua del 25, la battaglia riprende il 26 Dicembre. Di fronte alla resistenza dei legionari con mitragliatrici e granate, la Marina riceve l’ordine di bombardare le posizioni ribelli ed anche il palazzo del Governo, sede del comando dannunziano (dove il poeta rimane lievemente ferito, atteggiandosi poi a martire). Il bombardamento prosegue sino al 29 dicembre: ma già il 28, D’Annunzio riunisce il Consiglio della Reggenza, per intavolare trattative con gli esponenti dell’esercito regolare. Rassegna le sue dimissioni con una lettera consegnata a Giovanni Host-Venturi, “Rettore” per la Difesa, e al sindaco Riccardo Gigante.
Il 31 dicembre 1920, D’Annunzio firma la resa che porta alla costituzione dello “Stato libero di Fiume”: che durerà poco piu’ di 3 anni, sino al Trattato di Roma, concluso dal regime fascista (27 gennaio 1924), che assegnerà Fiume all’Italia, stabilendo il confine con la Jugoslavia sul fiume Eneo. Inizieranno, così, i 20 anni di governo italiano della provincia del Carnaro, seguiti da venti mesi di occupazione militare tedesca: e poi da un’altra storia, dalle Foibe al passaggio di Fiume, ribattezzata Rijeka, alla nuova Jugoslavia titoista.
Nel gennaio 192, i legionari cominciano a lasciare Fiume su vagoni ferroviari predisposti dall’esercito. D’Annunzio parte il 18, trasferendosi a Venezia. Per lui e per De Ambris iniziano due diversi esili: per il Vate, quello dorato al Vittoriale di Gardone Riviera, dove resterà, “monumento di sè stesso”, sino alla morte nel 1938 (col probabile zampino dei nazisti, da lui sempre odiati). Per Alceste De Ambris, quello in Francia, dove vivrà, in dignitosa povertà, a Brive la-Faillarde, sino al 1934. Trent’anni dopo, sarà tumulato solennemente a Parma, nel civico cimitero della Villetta,
Forse pochi sanno che, attualmente, a Roma vive una pronipote di Alceste:Simonetta De Ambris, architetto del Comune che si occupa della riqualificazione delle aree storiche di Roma Capitale, per il Dipartimento Tutela Ambientale.