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Rohingya, le donne affrontano un’odissea di violenza e miseria

Rohingya, le donne affrontano un’odissea di violenza e miseria

K metro 0 – Kutupalong – Le donne Rohingya ancora oggi sono costrette a vivere in uno squallido campo profughi in Bangladesh senza alcuna speranza. Secondo quanto riporta the Japan Times, per le famiglie, le donne sono considerate come un peso e se cercano di scappare rischiano lo stupro o la morte. Se riescono a

K metro 0 – Kutupalong – Le donne Rohingya ancora oggi sono costrette a vivere in uno squallido campo profughi in Bangladesh senza alcuna speranza. Secondo quanto riporta the Japan Times, per le famiglie, le donne sono considerate come un peso e se cercano di scappare rischiano lo stupro o la morte. Se riescono a fuggire inevitabilmente sono costrette a passare alcuni mesi in mare con la sola prerogativa di raggiungere un marito che, non conoscono e non hanno mai incontrato di persona.

Queste donne infatti, costrette alla fuga e provate dalle violenze e dalla persecuzione in Myanmar il (paese di origine) da parte dalle forze di sicurezza nel 2018. I militari hanno attraversato e attaccato centinaia di villaggi Rohingya uccidendo donne, uomini e bambini; stuprando le ragazze; trasferendoli nei luoghi di detenzione dove sono stati torturati. I soldati inoltre hanno bruciato case, negozi e moschee dei Rohingya costretto oltre 700.000 persone a fuggire attraverso il confine con il Bangladesh.

Visto il drammatico contesto anche la situazione nei campi profughi del Bangladesh è sempre più difficile con il sovraffollamento e i genitori disperati che mirano a far sposare le loro figlie, credendo di proteggerle, con uomini Rohingya che abitano a migliaia di chilometri di distanza.

I matrimoni, vengono celebrati per telefono o, tramite App video. Le ragazze, riguardo alla scelta del coniuge non hanno nessuna voce in capitolo. Esse si affidano a chiamate occasionali, per costruire una relazione con i loro nuovi congiunti. Dopo la celebrazione del rito online, inizia una nuova fase molto pericolosa e complicata, quella dei viaggi per raggiungere i loro nuovi mariti.

Una delle tante rifugiate Rohingya Jannat Ara, racconta durante un’intervista con la Afp il suo dramma.

Jannat Ara, parlando del suo matrimonio con Nur Alam, un uomo Rohingya che viveva a Kuala Lumpur affermava “I miei genitori continuavano a chiedermi di trovare un modo per raggiungere la Malesia – vivendo con loro ero solo una bocca in più da sfamare”. Ara aveva sette fratelli e altri familiari e per cibarsi, ha dovuto condividere razioni di riso da 25 chilogrammi, distribuito due volte al mese.

La ragazza pur non avendo mai incontrato l’uomo che aveva sposato tramite una telefonata dal campo profughi e viste le crescenti pressioni da parte dei parenti, è costretta a partire per congiungersi al marito.

La donna è una delle migliaia di Rohingya, apolide, costretta a viaggiare all’estero illegalmente usando metodi clandestini, obbligata a riporre la sua fiducia in un marito che non ha mai conosciuto, e per giunta viaggiando in balia di sconosciuti scafisti. Questa rotta clandestina, l’ha portata a viaggiare dapprima in un risciò, dopo su una piccola barca e infine su un peschereccio con persone ammassate e su un natante fatiscente. “Dopo aver viaggiato in mare per due mesi il governo Malese ha negato l’ingresso, quindi la donna purtroppo dopo aver rischiato e visto morire tante persone, si è ritrovata al punto di partenza”

Poco più di 100.000 Rohingya sono attualmente registrati presso le Nazioni Unite nella Malesia a maggioranza musulmana, ma poiché viene loro negata la cittadinanza, rimangono nel limbo.

Gli uomini Rohingya che si sono stabiliti hanno poche possibilità di assimilarsi – in quanto rifugiati non possono lavorare legalmente e quindi la maggior parte accetta manodopera edile a bassa retribuzione.

Diversi rapporti sono stati diffusi dalla Missione Onu su fatti e prove a quelle, già schiaccianti, relative agli atroci crimini commessi dalle forze di sicurezza di Myanmar contro i rohingya e altre minoranze etniche nel nord del paese.

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Nino Faranda
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