Il Cammino della civiltà (parte terza)

Il Cammino della civiltà (parte terza)

K metro 0 – Roma – Nel pieno del Rinascimento si svolse l’attività di Tommaso Moro, che nel libro Utopia prefigurò una collettività nella quale tutti dovevano lavorare e non c’erano né miseria, né lusso, né proprietà. Ognuno avrebbe potuto usufruire delle comodità essenziali della vita ed avrebbe avuto modo di soddisfare le proprie esigenze

K metro 0 – Roma – Nel pieno del Rinascimento si svolse l’attività di Tommaso Moro, che nel libro Utopia prefigurò una collettività nella quale tutti dovevano lavorare e non c’erano né miseria, né lusso, né proprietà.

Ognuno avrebbe potuto usufruire delle comodità essenziali della vita ed avrebbe avuto modo di soddisfare le proprie esigenze spirituali e culturali, in una cornice di libertà per tutte le credenze religiose.

Lo Stato avrebbe dovuto promuovere il lavoro agricolo ed artigianale, la distribuzione dei beni e la formazione culturale.

Le cariche pubbliche dovevano essere elettive, compresa quella del Principe, che però era a vita, salvo nel caso di degenerazione tirannica, che ne avrebbe comportato la rimozione.

Tommaso Campanella nell’opera Città del Sole prefigurò un’utopistica repubblica globale, ispirata ad un cristianesimo universalizzante, riferibile ad una religione naturale alla quale anche tutte le altre Fedi indistintamente avrebbero potuto ricorrere. La sua concezione cosmopolitica ed affratellante si proiettava anche nell’economia e nel diritto, sostenendo egli l’abolizione della proprietà privata per una gestione comunitaria delle sostanze disponibili. La figura dello Stato da lui vagheggiata comportava tramite la comunione dei beni e la scomparsa della famiglia mononucleare, la liberazione da ogni affanno economico. Fu particolarmente innovativa la fiducia dell’A. nella scienza e nel progresso della tecnica, che avrebbero consentito all’uomo di dominare la natura con mezzi sempre più avanzati e di conseguire sempre più elevati livelli di benessere.

Il Campanella configurò dei Magistrati eletti direttamente dal popolo e dei Saggi, al vertice di una collettività subordinata nel suo insieme ad un Capo di Stato (filosofo per eccellenza), che meglio di chiunque altro poteva intuire quale fosse il vero bene comune.

Fra il XVI ed il XVII secolo si diffusero le teorie della Scuola del diritto naturale, facenti appello alla ragione ed alla natura in antitesi al peso della tradizione e di principi consolidatisi nel tempo, per cui furono poste anche inconsapevolmente le basi per la giustificazione etica dei futuri moti rivoluzionari.

Il diritto di cui si discorre fu ora disancorato da ogni pregresso riferimento al volere divino, con l’affermazione di regole pre-statuali autogiustificantesi, come i diritti di libertà (di pensiero, di parola, etc..).

Esso costituì il legame nuovo di un’umanità cui erano venute a mancare sia l’unità religiosa che le aspettative di quella politico-imperiale.

Vennero conseguentemente abbandonate le istanze unificanti ed universalizzanti del giusnaturalismo cristiano, innanzi all’affermazione di valori come la coscienza e la libertà individuale, al cui cospetto lo Stato doveva autolimitarsi e garantirne la salvaguardia. Era l’affermazione laica dei diritti innati, cui avrebbe fatto riferimento la Costituzione degli Stati Uniti d’America.

Il giusnaturalismo fornì il supporto formale alla genesi del potere sovrano, presupponendo sempre e comunque l’esistenza di un contratto sociale a fondamento delle varie tipologie di Stato.

I Principi delle grandi dinastie europee mirarono a realizzare una legislazione unitaria, specialmente nel campo del diritto pubblico, che compendiava gli attuali diritti penale, amministrativo, finanziario, processuale civile e penale, per superare definitivamente il frammentarismo giuridico che aveva caratterizzato il periodo del Medioevo.

I Principi, così come configurati nel sistema dell’assolutismo illuminato, avrebbero dovuto assicurare il progresso morale e civile dei loro popoli, con delle riforme legislative ispirate a necessità o ad utilità d’ordine generale oggettivamente dimostrabili, per rispondere al più volte invocato principio di razionalità.

Il giusnaturalismo laico prese le mosse dal calvinista olandese Grozio, il quale postulò l’esistenza di principi autoevidenti, ricavabili a priori deduttivamente, o a posteriori tramite l’analisi storico-comparatistica di norme comuni ai vari popoli, significanti il consenso di tutte le genti

su di esse.

In tale ottica le azioni ispirate dalla ragione erano intrinsecamente obbligatorie, e dunque buone, anche se Iddio non fosse mai esistito; ma in realtà esse erano vietate o permesse proprio dal Creatore di tutte le cose naturali.

Su tali premesse, il diritto di uno Stato poteva costituire un’integrazione o specificazione di quello naturale, ma non avrebbe mai dovuto porsi in contrasto con esso.

Il diritto codificato dunque non doveva solo scaturire dalla forza o dalla necessità di perseguire finalità contingenti, bensì doveva ispirarsi a quella razionalità che sola poteva consentire di discernere il bene dal male..

Fra i principi fondati sulla ragione, egli identificò alcuni precetti a carattere universale, come: 1) rispettare i beni altrui; 2) mantenere i patti, 3) risarcire i danni arrecati; 4) rispondere personalmente degli illeciti commessi in ambito penale.

Il potere del Principe si fondava sul consenso del popolo e poteva essere più o meno esteso; i rapporti fra le Nazioni si basavano sul diritto naturale (o delle genti); ma in assenza di un organismo sopranazionale che ne assicurasse la coattività (nel qual caso si sarebbe tramutato in diritto positivo), valeva anche per esse la reciprocità del consenso.

Condividi su:

Posts Carousel

Latest Posts

Top Authors

Most Commented

Featured Videos

Che tempo fa



Condividi su: