K metro 0 – Roma – Ci sono voluti più di 70 anni perché gli Emirati Arabi, quale primo stato del Golfo, stabilissero relazioni diplomatiche con Israele. Per avere un secondo stato che aderisse a tale “raggruppamento” sono bastate solo quattro settimane. L’11 settembre il Presidente USA Donald Trump ha infatti annunciato su Twitter che
K metro 0 – Roma – Ci sono voluti più di 70 anni perché gli Emirati Arabi, quale primo stato del Golfo, stabilissero relazioni diplomatiche con Israele. Per avere un secondo stato che aderisse a tale “raggruppamento” sono bastate solo quattro settimane. L’11 settembre il Presidente USA Donald Trump ha infatti annunciato su Twitter che il Bahrain, piccolo regno sunnita nel nord del Golfo Arabico, avrebbe riconosciuto Israele.
La data dell’annuncio non è casuale, infatti, esattamente l’11 settembre, avveniva il più terribile attacco terroristico della storia che gli americani ricordano e che ha segnato per sempre la storia delle democrazie occidentali.
Il 13 agosto, gli Emirati Arabi Uniti (EAU) hanno raggiunto un accordo di normalizzazione con lo Stato ebraico. Binyamin Netanyahu, il primo ministro israeliano, e Abdullah bin Zayed, il ministro degli esteri degli Emirati, sono attesi alla Casa Bianca il 15 settembre per una cerimonia ufficiale. Il ministro degli esteri del Bahrain ora si unirà ora a loro per simboleggiare un “poker di assi per la pace”.
I contatti tra il Bahrein e Israele, discreti dagli anni ’90, si sono intensificati negli ultimi anni fino a quando è stato annunciato venerdì uno storico accordo per la normalizzazione delle relazioni tra i due paesi. Infatti, il principe ereditario del Bahrein Salman bin Hamad Al-Khalifa ha iniziato la diplomazia ufficiale parlando con i funzionari israeliani ai vertici del Forum economico mondiale nel 2000 e 2003.
Se la decisione degli Emirati Arabi Uniti è stata una sorpresa, quella del Bahrein, quindi, era più prevedibile. In effetti, molti osservatori avevano supposto che sarebbe stato il primo stato del Golfo a riconoscere lo stato di Israele. Nel 2017, una delegazione israeliana è stata autorizzata a partecipare al Congresso della Federazione internazionale di calcio (FIFA) a Manama. Lo stesso anno, un gruppo interreligioso del Bahrein annunciò di aver inviato una delegazione in Israele per promuovere “la tolleranza e la convivenza”.
Un altro dato importante che i rispettivi ministri degli esteri si erano incontrati pubblicamente a Washington l’anno scorso, anche perché entrambi i paesi considerano l’Iran una seria minaccia per la loro integrità. Il Bahrain, vede anche opportunità con Israele per rafforzare la sua sicurezza, infatti, Manama fa affidamento su Washington per la sicurezza e, a riprova, ospita la più grande base della quinta flotta Usa nel Golfo Arabico.
Anche se ampiamente previsto, l’annuncio del Bahrein potrebbe rivelarsi strategico per l’area, mentre gli Emirati Arabi Uniti non si preoccupano del consenso interno e per la decisione presa dato che il sostegno ai regnanti è assoluto. Il Bahrain, per contro, ha una storia di proteste interne da non sottovalutare. La maggioranza sciita della popolazione lamenta da tempo la politica discriminatoria da parte della famiglia reale. I disordini, fomentati dall’Iran, hanno raggiunto il livello massimo nel 2011 durante le settimane di proteste ispirate alla primavera araba, sono stati controllati con l’aiuto delle truppe di altri paesi del Golfo, soprattutto saudite.
I critici della normalizzazione con Israele potrebbero provare ad avere voce a Manama ma c’è la ragionevole certezza che i regnanti non concederanno spazio alle critiche. Tuttavia, un’altra domanda è se il Bahrain possa essere considerato quale luogo di prova per il suo grande vicino, l’Arabia Saudita.
Il Bahrein, oltre all’ottimo rapporto con gli USA, da molto tempo ormai fa assoluto affidamento sull’Arabia Saudita per il sostegno politico ed economico, infatti, i turisti sauditi sono un pilastro dell’economia dell’isola e la maggior parte delle entrate petrolifere del paese proviene da un giacimento offshore congiunto e gestito dalla compagnia saudita Saudi Aramco. C’è un’altra certezza che i regnanti di Manama non avrebbero “azzardato” una decisione così strategicamente importante senza l’assenso dell’Arabia Saudita.
Ho constatato di persona, durante le mie viste nella piccola isola, un paradiso di libertà anche dal punto di vista religioso, che sono presenti sia unità delle forze armate saudite (a garanzia dell’integrità dello stato minacciata, come detto, dall’Iran) sia numerosissimi potenti “turisti sauditi”.
È improbabile che Riyad segua nell’immeditato gli Emirati Arabi e il Bahrain, finché re Salman detiene il trono. A sostegno del futuribile cambio di approccio, in quanto, il principe ereditario, Muhammad bin Salman, è molto meno attaccato del padre alla vecchia ortodossia araba nei confronti di Israele.
Quanto ai palestinesi, sebbene si lamentino e si considerino ancora una volta delusi da questa decisione, non possono reclamare di essere sorpresi perché a gennaio, quando il Capo della Casa Bianca ha svelato il piano di pace nel Medio Oriente, l’ambasciatore del Bahrein era tra il pubblico e non era presente per puro caso.
Un cambiamento strategico coordinato, intrapreso a spese dei palestinesi, e inteso ad affrontare una nuova situazione geostrategica regionale. Secondo alcuni analisti, l’obiettivo comune delle monarchie del Golfo, che ancora temono il disimpegno americano, è contrastare Iran e Turchia, le due potenze non arabe che minacciano i loro interessi nella regione. E “passa, ed è quasi logico”, da un riavvicinamento con lo Stato ebraico, la potenza militare dominante in Medio Oriente.
“Essendo la causa palestinese diventata secondaria agli occhi delle petromonarchie ossessionate dal rivale sciita iraniano, questo riavvicinamento si basa principalmente sulla loro comune animosità con Israele nei confronti dell’Iran”, anche perché, ” Israele, diffida delle ambizioni della Turchia nel Mediterraneo, mentre le petromonarchie del Golfo sono preoccupate per le rivendicazioni neo-ottomane regionali del presidente turco Recep Tayyip Erdogan”.
Israele, quindi, si trova improvvisamente più accettata nella regione ed opererà con le dovute modalità diplomatiche accettando qualche compromesso, ed è più vicina a risolvere i conflitti alle sue porte. Mentre l’Iran si opporrà sfruttando Hezbollah, Erdogan farà di tutto per intralciare l’accordo in quell’area del Mediterraneo.
Per concludere, ormai è chiaro che la vecchia ortodossia araba sta rapidamente cedendo e che questa volta, in una regione in cui la diplomazia si è sempre mossa come una lumaca, le ultime settimane sembra tutto stia andando vertiginosamente come la corsa di un leopardo.
Si voglia o no, il Presidente Trump ha “calato un poker d’assi”.
Generale Giuseppe Morabito