K metro 0 – Roma – Gli ultimi dati diffusi dall’ ISTAT, il 27 giugno, sulla situazione economico-sociale italiana, certificano che nel Paese ci sono 5 milioni e 58 mila poveri assoluti (quasi l’8% della popolazione): cittadini che ogni mese non possono acquistare quei beni e servizi essenziali per un livello di vita accettabile. Sono
K metro 0 – Roma – Gli ultimi dati diffusi dall’ ISTAT, il 27 giugno, sulla situazione economico-sociale italiana, certificano che nel Paese ci sono 5 milioni e 58 mila poveri assoluti (quasi l’8% della popolazione): cittadini che ogni mese non possono acquistare quei beni e servizi essenziali per un livello di vita accettabile. Sono i dati peggiori dal 2005, addirittura prima della grande crisi mondiale del 2008 ” e dintorni”: si tratta, in termini di famiglie, del 6,9% (era il 6,3 nel 2016), e la percentuale supera il 10% nel Mezzogiorno, nelle famiglie con figli a carico (1.208.000 sono i minorenni in stato di povertà) e in quelle operaie (rappresentanti l’11,8% del totale). Il dato più impressionante vede tuttora (contrariamente a quanto si potrebbe pensare considerando la crescita economica del Sud negli ultimi decenni), nel Mezzogiorno, un individuo su 10 in povertà, a causa soprattutto del peggioramento delle condizioni di vita registrato, negli ultimi anni, nei comuni sino a 50.000 abitanti. Ma la povertà sale anche in varie aree metropolitane del Nord, appena sfiorate dalla grande crescita capitalistica degli anni ’70- ’80.
Ma che confronti possiamo fare con le situazioni degli altri Paesi UE? Anzitutto, confronti sulla base dei principali indicatori macroeconomici. La Commissione europea pubblicherà a luglio la prossima previsione generale sull’economia dei Paesi UE. Ma già adesso – come si può leggere sui siti ufficiali della Commissione – i dati disponibili danno, in sintesi, il quadro d’ un’economia europea che va da previsioni moderatamente ottimistiche per i maggiori Paesi (Francia, Germania e area scandinava) ad altre orientate al pessimismo per quelli rappresentanti la “periferia” dell’Unione (Irlanda, Spagna, Italia, Portogallo, Grecia e altri Paesi balcanici). Dove più difficile è il rispetto dei parametri stabiliti da Maastricht in poi (come anzitutto il rapporto deficit pubblico/PIL), assai meno efficienti sono le Pubbliche amministrazioni, ondivago è il flusso degli investimenti pubblici, macchinosa, spesso inefficiente, la regolamentazione del mercato del lavoro.
Ad ogni modo, grazie a una certa accelerazione dell’economia, nel 2017 la crescita del PIL reale in media ha raggiunto il 2,4%, sia nel complesso della UE che nella specifica zona euro. Alla crescita hanno contribuito un migliorato livello di fiducia dei consumatori e delle imprese, costi di finanziamento più bassi, bilanci più sani nel settore privato e migliori condizioni del mercato del lavoro. Sino alla fine del 2018, prevede sempre la Commissione UE, la crescita dovrebbe proseguire a ritmo abbastanza sostenuto, grazie a livelli elevati di consumi e alla forza delle esportazioni (per le quali però, non si possono sottovalutare i rischi legati alla “guerra commerciale” con gli USA, ben lontana da un “armistizio”) e degli investimenti. Sia l’UE che la zona euro quest’ anno dovrebbero crescere del 2,3%: anche se con differenze notevoli tra un Paese e l’altro, a seconda della ricordata appartenenza al “Centro propulsore” o alla “periferia” dell’Unione). La crescita, in entrambe le zone, dovrebbe poi calare al 2,0% nel 2019 per vari fattori, dall’adeguamento della politica monetaria a un certo rallentamento del commercio mondiale.
La disoccupazione nella UE dovrebbe passare dal 7,6% del 2017 al 7,1% nel 2018, e al 6,7% nel 2019; mentre nella zona euro dovrebbe scendere dal 9,1% del 2017 all’ 8,4% alla fine di quest’anno, e al 7,9% nel 2019.Mentre in alcuni Stati membri la disoccupazione è ancora elevata, o comunque il mercato del lavoro ristagna, in altri, all’opposto, diventa più difficile coprire i posti di lavoro disponibili. Tornando all’ Italia, proprio questo, incredibilmente, da anni si verifica in alcune zone piu’ avanzate del Nord, ad esempio il Padovano: dove alcune aziende non riescono a trovare operai qualificati per specifici settori, sia per le carenze dei canali di formazione professionale che per il persistente effetto, su larghe fasce di giovani, dello storico mito del “lavoro intellettuale a tutti i costi”.
L’inflazione dei prezzi al consumo, infine, è calata nel primo trimestre 2018, ma dovrebbe risalire lievemente nei prossimi, in parte a causa dei recenti aumenti (dopo anni di calo) dei prezzi del petrolio.
“L’espansione economica in Europa – ha dichiarato cautamente Valdis Dombrovskis, Vicepresidente della Commissione responsabile per l’euro e il dialogo sociale, presentando questi dati a Bruxelles – dovrebbe proseguire a ritmo sostenuto quest’anno e l’anno prossimo, favorendo la creazione di più posti di lavoro. Tuttavia vediamo anche maggiori rischi all’orizzonte. Per questo occorre sfruttare l’attuale congiuntura favorevole per rendere le nostre economie più resilienti. Ciò significa creare riserve di bilancio, riformare le nostre economie per stimolare la produttività e gli investimenti e far sì che il nostro modello di crescita diventi più inclusivo. Inoltre è necessario rafforzare le basi della nostra Unione economica e monetaria”. Mentre il protezionismo – ha aggiunto Pierre Moscovici, Commissario per gli Affari economici e finanziari – “non deve diventare la nuova normalità, poiché non farebbe che danneggiare quella parte dei nostri cittadini che ha più bisogno di essere tutelata”.