K metro 0 – Adnkronos – Teheran – Mandato d’arresto per Donald Trump in Iran. La Repubblica Islamica ha annunciato che il presidente Usa è tra i 36 funzionari americani e di altri Paesi colpiti da mandato di cattura, accusati in relazione al raid in cui a inizio anno è stato ucciso in Iraq il generale
K metro 0 – Adnkronos – Teheran – Mandato d’arresto per Donald Trump in Iran. La Repubblica Islamica ha annunciato che il presidente Usa è tra i 36 funzionari americani e di altri Paesi colpiti da mandato di cattura, accusati in relazione al raid in cui a inizio anno è stato ucciso in Iraq il generale iraniano Qassem Soleimani, comandante della Forza Quds dei Guardiani della Rivoluzione. Lo riporta l’agenzia iraniana Fars.
“Sono stati identificati e sono stati emessi mandati di cattura per 36 soggetti coinvolti o che hanno ordinato l’uccisione di Hajj Qassem, compresi funzionari politici e ufficiali militari degli Usa e di altri governi”, ha detto il procuratore di Teheran, Ali Alqasi Mehr, che ha anche parlato di una richiesta di “red notice” all’Interpol. Trump e gli altri sono accusati di “omicidio e terrorismo”, come riporta l’ageniza Fars. Dei “36”, viene fatto solo il nome di Trump.
Dopo la condanna a morte lo scorso 9 giugno di un cittadino iraniano ”agente della Cia”, Mahmoud Mousavi, per aver fornito informazioni all’intelligence Usa utili all’uccisione del generale Soleimani, era atteso un nuovo annuncio da parte delle autorità iraniane, per ‘fare giustizia’ per la morte de capo delle forze di elite al-Quds. Come è prevedibile, il mandato di arresto per il presidente Usa e per gli altri funzionari individuato dalle autorità iraniane non avrà alcuna conseguenza pratica, ma serve al regime di Teheran per mantenere viva l’attenzione sulla morte di Soleimani. Nell’immediato, secondo le previsioni più pessimistiche degli osservatori internazionali, l’uccisione del generale iraniano avrebbe dovuto portare ad un’escalation imprevedibile del confronto tra Washington e Teheran. Nella realtà, al di là della retorica infuocata, la reazione iraniana si è risolta l’8 gennaio, con l’attacco missilistico condotto dalle forze armate di Teheran contro due basi Usa situate in Iraq, che ha portato al ferimento di circa un centinaio di militari statunitensi.
Qassem Soleimani è stato molto più di un generale. E’ stato l’artefice di un corridoio sotto l’influenza iraniana che parte da Teheran, e passando da Baghdad, Damasco e Beirut, arriva direttamente alle sponde del Mediterraneo. Un’area gigantesca che ha reso la Repubblica islamica una potenza regionale. Negli ultimi anni il comandante della Forza Quds, il corpo di elite dei Guardiani della Rivoluzione, è stato il responsabile della strategia (vincente) iraniana nelle aree di crisi della regione, dalla Siria all’Iraq, fino allo Yemen.
Il generale, che aveva grande influenza a Teheran ed era considerato molto vicino alla Guida Suprema, Ali Khamenei, era stato nominato alla fine degli anni Novanta comandante della Forza Quds, che si occupa principalmente delle operazioni all’estero dei Pasdaran. Prima di diventare comandante del reparto di elite, era stato protagonista durante la guerra contro l’Iraq.
Entrata nel vivo la lotta allo Stato islamico, l’uomo che è stato il capo indiscusso della strategia iraniana nella regione aveva guidato l’azione, rivelatasi decisiva nella vittoria militare sull’Isis in Iraq, delle Forze di mobilitazione popolare (Hashd al-Shaabi), una coalizione di milizie sciite filo-Teheran. E’ a Soleimani (oltre che a Vladimir Putin) che Bashar al-Assad deve la sua permanenza alla guida della Siria.
Poco prima della sua uccisione, il generale aveva iniziato ad apparire in pubblico diventando sempre più presente sui media iraniani al punto che erano iniziate a circolare voci su una sua possibile carriera in politica. Anche le sue recenti dichiarazioni avevano il sapore di un leader politico ‘in pectore’. Come quando si rivolgeva a Trump sfidandolo apertamente. “Puoi iniziare una guerra, ma saremo noi a finirla. Chiedi ai tuoi predecessori. Smettetela di minacciarci”, affermava. Sul nucleare Soleimani era un sostenitore della linea dura. Se ora le autorità iraniane accettassero di negoziare con gli Stati Uniti – era il suo pensiero – significherebbe cedere alla “pressione” di Washington che ha ripristinato le sanzioni contro Teheran proprio con l’obiettivo di aprire un negoziato.