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Democrazia oltre le parole: la perenne lezione del de Toqueville

Democrazia oltre le parole: la perenne lezione del de Toqueville

K metro 0 – Roma – A far data dal XVI secolo, in Europa era stato precisato il concetto di Stato, distinto dalla persona del Re e ad esso superiore, con la conseguenza ovunque accettata che se il Sovrano violava le leggi, operava da parte della collettività il diritto di “Resistenza”, che mirava alla restaurazione

K metro 0 – Roma – A far data dal XVI secolo, in Europa era stato precisato il concetto di Stato, distinto dalla persona del Re e ad esso superiore, con la conseguenza ovunque accettata che se il Sovrano violava le leggi, operava da parte della collettività il diritto di “Resistenza”, che mirava alla restaurazione dell’ordine violato ed alla cessazione del potere arbitrariamente esercitato, ma non alla creazione di un sistema nuovo, come accade viceversa nelle rivoluzioni.

Quel diritto giusnaturalistico poteva e può attivarsi non solo nell’ipotesi di tirannide quoad exercitium, cioè di un potere legittimamente acquisito ma poi arbitrariamente esercitato (es. Mussolini ed Hitler); ma anche in quella dell’assunzione abusiva del potere (es. Lenin), perciò detto sine titulo, cioè in séguito ad un colpo di Stato che pone fine ad un regime che gode del consenso popolare.

Nel primo quarto del secolo scorso, la centralità del cittadino nei confronti dello Stato, il quale deve essere funzionale alla realizzazione dei diritti fondamentali degli amministrati, fu stravolta dalla concezione statolatrica hegeliana, che prese concretezza nella speculare incarnazione dei totalitarismi nazista e comunista, teorizzanti la supremazia dello Stato –Partito rispetto al cittadino- suddito.

Nel 1922 Mussolini non risultò da subito giuridicamente un dittatore per l’assunzione arbitraria di un potere sine titulo – ipotesi che avrebbe potuto verificarsi se con la c. d.“ Marcia” fosse riuscito a portare a termine un colpo di Stato- bensì quoad exercitium; ma solo a far dal 3 gennaio 1925, allorché dichiarò espressamente che avrebbe fatto ricorso alla forza per poter governare senza intralci .

Nel 1950, dopo le drammatiche esperienze liberticide a livello mondiale, fu sottoscritta la Convenzione europea per salvaguardia dei diritti umani, che così recitava: «Tutti sono uguali innanzi alla legge ed hanno diritto, senza alcuna discriminazione, ad un’uguale tutela da parte della legge».

Innanzi alla violazione di diritti fondamentali all’interno di uno Stato, come quello alla vita, alla libertà, alla proprietà, di cui lo stesso Stato ha il compito prioritario di assicurare il pacifico godimento, scatta da parte della collettività il citato «diritto di resistenza», definito «il diritto del singolo o di gruppi organizzati o di organi dello Stato, o di tutto il popolo, di porsi con ogni mezzo, anche con la forza, all’esercizio arbitrario e violento, non conforme al diritto, del potere statale» .

È diffusa la concezione che ogni qualvolta ci sia il consenso delle genti, si possa parlare senz’altro di democrazia, il che è in generale rispondente al vero; per cui giova ricordare che il Tocqueville nella sua celeberrima opera La democrazia in America, osservò che ovunque negli Stati costituzionali europei il massimo della sovranità era nelle mani del Legislativo.

Ma oggi in Italia, innanzi alla pandemia del Coronavirus, tale criterio è stato capovolto con l’esautoramento del Legislativo da parte dell’Esecutivo, sicché il Parlamento è stato umiliato nella sua prima funzione, che è quella rappresentativa. E non solo: sono stati creati arbitrariamente misteriosi comitati di “Esperti”, i cui pareri sono stati presi come parametri di riferimento per una normazione prolissa, contraddittoria, confusionaria nei contenuti, nonché formalmente anomala, nel momento in cui dei meri atti amministrativi come i noti DPCM (Decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri) hanno disatteso dei principi basilari della stessa Costituzione.

Il criterio della “governabilità” si è affermato al prezzo di accentuare la deriva lucidamente prefigurata dal Tocqueville, in aggiunta alla quale ha perso la sua centralità il Parlamento, a Costituzione invariata.

Contro il rischio di derive autoritarie esistono dei meccanismi di garanzia, come i poteri di controllo assegnati al Capo dello Stato ed alla Corte costituzionale; nonché la procedura “rafforzata” che prevede una maggioranza qualificata per cambiare una Costituzione come la nostra (perciò detta “rigida”); ed infine i paletti insormontabili dei diritti fondamentali ivi riconosciuti, che dunque sono preesistenti alla massima Carta e che nessuna sua eventuale riforma potrebbe eliminare.

Una maggioranza, per quanto estesa (quella attuale sembra tuttavia consistere più in una combinazione numerica, che in una reale convergenza programmatica), non deve mai scalfire i diritti delle minoranze né deve contrastarne la possibilità che, in tempi più o meno vicini, possano a loro volta divenire maggioranza, per quella che gli anglosassoni amano definire l’”oscillazione del pendolo” (o altalena dei partiti).

In parole povere: non è la forza dei numeri a certificare la natura democratica di un sistema, ma la qualità della politica posta in essere e la centralità del Parlamento, oggi declassato da attore protagonista della vita politica, a mesto spettatore.

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