K metro 0 – Roma – La pandemia, che dall’inizio dell’anno in poche settimane si è andata diffondendo nel mondo a partire dalla Cina, sta rappresentando un grande trauma che si inserisce in una situazione già critica rappresentata da un radicale cambiamento d’epoca a livello globale. Questa sfida che sta scuotendo tutti i paesi ed
K metro 0 – Roma – La pandemia, che dall’inizio dell’anno in poche settimane si è andata diffondendo nel mondo a partire dalla Cina, sta rappresentando un grande trauma che si inserisce in una situazione già critica rappresentata da un radicale cambiamento d’epoca a livello globale.
Questa sfida che sta scuotendo tutti i paesi ed i popoli viene vissuta forse con maggiore drammaticità in quelle aree del mondo che si sentivano più al riparo da malattie e calamità varie e proprio per questo appaiono in un certo senso più vulnerabili emotivamente di fronte ad una tale minaccia per la salute e per l’economia. È stata un’esperienza del limite un po’ per tutti: il presente ed il futuro non sono direttamente ed interamente nelle nostre mani, nonostante lo sviluppo scientifico, la medicina moderna, la tecnologia, l’informatica. Le ingenue aspettative positiviste non hanno più la carica incontenibile iniziale, anche perché l’umanità ha sperimentato i risvolti negativi, fino al tragico, della crescita tecno-scientifica, ma tuttavia hanno ancora una certa presa dovuta all’impatto di una cultura dominante che riduce la realtà all’evidenza, e per di più alla propria evidenza, escludendo o comunque sottovalutando le dinamiche immateriali che percorrono l’esperienza umana e la sua apertura al trascendente.
Non è facile accettare la propria fragilità individuale e collettiva che ci viene drammaticamente fatta presente dell’alto numero di morti, dai tanti pazienti tra la vita e la morte nei reparti di rianimazione ed anche dalle misure alle quali siamo tenuti per evitare il peggio: isolamento, mascherine e guanti, distanziamento sociale ci ricordano costantemente l’estrema pericolosità per la salute e per la vita di questa infezione.
Allo stesso modo non è facile restare tranquilli quando si teme che economie e sistemi industriali complessi, in paesi come l’Italia ad esempio, possano collassare a causa delle misure che si rendono necessarie per contenere la pandemia. È importante tener presente tutto questo carico di sofferenza e di angoscia per il futuro per capire certe reazioni negative ed accusatorie che ostacolano inconsapevolmente una risposta efficace, anziché contribuire allo sforzo comune per uscire nel modo più realisticamente accettabile e sostenibile dall’emergenza sanitaria ed economica.
Non possiamo però ignorare ed anzi non esser grati per le tante risposte positive che sono sotto i nostri occhi in questo momento così difficile: incoraggiamento ed aiuto reciproco morale e materiale da parte del volontariato organizzato o spontaneo, impegno senza limiti fino al rischio della vita di medici e personale sanitario per salvare più vite possibile, recupero della preghiera per molti, consapevolezza della necessità di modificare stili di vita ed organizzazione sociale e della produzione, anche grazie all’esperienza inaspettata e stupefacente di come potrebbe essere la città e la natura se meno stressata dai fattori inquinanti.
I cittadini, almeno nella mia esperienza italiana, nella quasi totalità hanno risposto con grande senso di responsabilità alle regole restrittive che pure interferivano così pesantemente sulla loro vita quotidiana e spesso hanno scoperto che erano sì difficili da sopportare ma anche occasioni di piccole e grandi scoperte interiori e relazionali oltre a favorire un riassetto dei valori in direzione dell’essenzialità.
Vorrei aggiungere qualche considerazione in merito al modo di porsi delle religioni di fronte alla sconvolgente sfida del COVID-19. Al di là di atteggiamenti colpevolizzanti di certe componenti nelle varie tradizioni (“punizione divina”, “vendetta della natura abusata” etc.), complessivamente il loro è stato un ruolo importante di sostegno attraverso la preghiera, l’orientamento a farsi carico della difesa della vita come scelta prioritaria e l’azione solidale concreta per le persone più povere ed emarginate. Da apprezzare anche la loro scelta di rinunciare alle pratiche abituali collettive nei luoghi di culto che avrebbero potuto provocare moltiplicazione del contagio; questo, se da un lato ha provocato sofferenza nelle persone più dedite alla pratica, ha d’altra parte fatto riscoprire la dimensione spirituale più profonda dell’esperienza di fede.
Sappiamo bene che la risoluzione della pandemia non è a breve termine; la prova alla quale siamo chiamati è ancora molto impegnativa, ma certamente prevarranno prudenza e saggezza che si prenderanno cura delle sofferenze e delle paure individuali e collettive.
Quanti, per motivazioni religiose od etiche, hanno il carisma della positività saranno decisivi per superare l’emergenza testimoniando speranza e promuovendo solidarietà.
di Luigi De Salvia
Presidente Religions for Peace Italia