K metro 0 – Roma – L’epidemia Covid-19 che ha investito l’Italia ha fatto riscoprire il valore della solidarietà umana e il senso di responsabilità e partecipazione soprattutto nel campo sanitario. Oggi in Italia contiamo 105 medici “martiri” tra cui 9 medici di origine straniera, morti per difendere la salute di tutti. Abdel Sattar Airoud
K metro 0 – Roma – L’epidemia Covid-19 che ha investito l’Italia ha fatto riscoprire il valore della solidarietà umana e il senso di responsabilità e partecipazione soprattutto nel campo sanitario. Oggi in Italia contiamo 105 medici “martiri” tra cui 9 medici di origine straniera, morti per difendere la salute di tutti.
Abdel Sattar Airoud (Medico di medicina generale di origine siriana); Abdulghani Taki Makki (Odontoiatra di origine siriana); Norman Jones (Cardiologo del Galles); Dominique Musafiri (Medico di medicina generale del Congo); Ghvont Mrad (Medico termale di origine siriana); Nabeel Khair (Medico di medicina generale di origine palestinese); Tahsin Khrisat (Medico di medicina generale di origine giordana); Samar Sinjab (Medico di medicina generale di origine siriana); Nabil Chrabie medico di una Clinica Privata di origine libanese.
Samar Sinjab una di loro, medico di famiglia originaria di Damasco, aveva 62 anni, esercitava a Mira, in provincia di Venezia, è deceduta giovedì mattina, 9 aprile, all’ospedale Ca’ Foncello di Treviso. L’ultimo sms su WhatsApp è della scorsa domenica, in cui inviava ad un paziente le indicazioni per la terapia da seguire, poco dopo è stata intubata.
“Era così fiera dei suoi pazienti— ricorda Paolo Zambon, titolare della farmacia di Borbiago, —Aveva sempre tempo per tutti. Dall’inizio dell’epidemia la dottoressa Samar ha tentato in ogni modo di “fermare il vento con le mani”, per usare l’espressione del suo collega Stefano Righi. Ha lavorato per settimane senza dispositivi di protezione: guanti, mascherina e visiera.
A distanza di pochi giorni, i medici del Centro per le cliniche specializzate di Alessandria, venerdi 10 aprile, hanno rivolto l’ultimo saluto al loro collega, il medico Italo-libanese Nabil Sharabia ucciso dal Coronavirus durante il suo lavoro. Sharabia, nato a Bikfaya, piccolo villaggio della terra dei cedri, era arrivato in Italia più di tenta anni fa per proseguire gli studi in medicina, anche lui, era in prima linea con i suoi colleghi medici specializzati nell’affrontare l’epidemia, come ha riferito il capo del Centro Jean-Carlo Birla, ai media.
“i Sacrifici a cui assistiamo oggi è un segnale molto importante per il prezioso lavoro dei medici, infermieri, fisioterapisti, farmacisti, psicologi che stanno rischiando la loro vita con coraggio e altruismo, per tutelare la salute di tutti”, ha affermato Fouad Audi Presidente dell’Amsi.
Intanto, 121 passeggeri tra cui 116 studenti libanesi, rimasti bloccati in Italia a causa dell’epidemia del coronavirus sono rimpatriati sabato 11 aprile, riferisce il medico Zaraket Mohamad Ali, segretario dell’associazione medici libanesi, che ha visitato gli studenti prima della loro partenza. L’iniziativa è stata sovvenzionata dalla fondazione umanitaria Walid Bin Talal. Nel frattempo, l’ambasciata libanese in Italia ha coordinato l’operazione di rimpatrio dei suoi cittadini, dopo una lunga trafila tecnica e organizzativa, portata a termine grazie alla tenacia dell’ambasciatrice Mira Daher e del suo staff insieme alle associazioni delle comunità libanesi. Presenti all’aeroporto di Fiumicino anche il Console Generale, Queen Salame e il direttore della Mea, Marwan Atllah.
Mentre dalla comunità irachena, che conta circa 8.000 persone in Italia, di cui il 10% vive nella regione Lazio, racconta il dottor Khalati Zahran, 8 persone risultano positive e si trovano al nord del Paese. Il medico Khalati ci dice che l’ambasciatrice irachena in Italia è in contatto costante con i membri della comunità, organizzando per la stessa un’unità di supporto per soddisfare i fabbisogni in questa terribile emergenza.
Intanto i dilemmi sono di natura diversa sottolinea il medico italo-iracheno: “per gli studenti ci sono problemi di vario tipo da una parte che sono rimasti senza soldi e per loro è diventata una questione di sopravvivenza quotidiana e dall’altra c’è il problema dei rimpatri in quanto non possono sostenere i relativi costi di viaggio” per cui attualmente rientrano in patria facendo scalo in Turchia essendo la rotta aerea più economica.
In attesa di una soluzione tra partenza nel proprio Paese e rivedere l’apertura, prevista per l’inizio di maggio, il Ministero degli affari Esteri iracheno ha stanziato un fondo di solidarietà di 3000 dollari, afferma Khalati, il medico co-fondatore dell’associazione Iraq Medical Union Uk&EU (IMU) ed ha sottolineato: “Il mondo non sarà più come una volta”.
Uomini e donne cresciuti nel nostro Paese, medici di famiglia e medici di emergenza, hanno lasciato un segno della loro generosità, sono stati ricordati dai sindaci, direttori sanitari, comunità e ambasciate apprezzando il loro senso di responsabilità di appartenenza alla cittadinanza italiana.