K metro 0 – Roma – La chiarezza delle leggi è una condizione necessaria, ma non sufficiente, per una più intensa sintonia fra il le Istituzioni ed i cittadini destinatari delle leggi medesime. Durante i lavori all’Assemblea costituente, Terracini e Calamandrei sostennero la necessità che la futura Costituzione fosse un esempio di ponderazione nelle espressioni,
K metro 0 – Roma – La chiarezza delle leggi è una condizione necessaria, ma non sufficiente, per una più intensa sintonia fra il le Istituzioni ed i cittadini destinatari delle leggi medesime.
Durante i lavori all’Assemblea costituente, Terracini e Calamandrei sostennero la necessità che la futura Costituzione fosse un esempio di ponderazione nelle espressioni, che dovevano risultare semplici e comprensibili. Le leggi dovrebbero essere – oggi più che mai – poche, chiare, coordinate e concise ( Plurimae leges, maxima iniuria), talché innanzi al noto principio che “la legge non ammette ignoranza“, la Corte Costituzionale ha – viceversa – riconosciuto al cittadino il diritto all’ignoranza della legge, tutte le volte che risulti formulata in modo oscuro o contraddittorio.
È generalmente noto che il “burocratichese” era un linguaggio oscuro, in parte perché retaggio di formule curiali ereditate dal passato, ma per lo più perché la sua voluta inaccessibilità iniziatica, ne nascondeva i reconditi significati alle masse, per conferire una maggiore (e sciagurata) autorevolezza ai sacerdoti della ritualità interpretativa.
A partire dal 2002 (direttiva Frattini) la P.A. avrebbe dovuto cessare dall’uso di un linguaggio tecnico/specialistico, lontano dalla lingua parlata dai cittadini, ricorrendo ad una flessibilità della forma, che doveva essere tanto più semplice, quanto meno istruiti erano i destinatari.
La semplificazione di cui si discorre, rendendo ancor più il cittadino protagonista attivo e consapevole della “res publica”, avrebbe consentito di superare quelle limitazioni dovute talora a scarsa cultura, che di fatto potevano discriminarlo nell’esercizio dei diritti e nell’adempimento informato dei suoi doveri.
Oggi, a circa 20 anni da quella inattuata circolare, in un breve arco di tempo sono stati diramati – in seguito a variazioni normative “a pioggia” – vari moduli legati all’emergenza Coronavirus, con modifiche a intermittenza, colpendo già in tal modo il principio della certezza del diritto, presidio di ogni civiltà democratica.
I provvedimenti limitativi della libertà di movimento al di fuori delle mura domestiche, sono stati disciplinati con ordinanze e decreti del Presidente del Consiglio e del Ministro della Salute nel corso del mese di marzo, mentre il contagio avanzava con un crescendo rossiniano, fino al recente Decreto-legge 25 marzo 2010 n. 19, che dovrà essere convertito in legge dal Parlamento entro 60 giorni.
A carico di coloro che non rispettano le misure restrittive (p.es., uscire senza un valido motivo tra quelli sommariamente elencati, come andare in farmacia od a far la spesa), si applicava la contravvenzione penale dell’inosservanza di provvedimenti legalmente dati dall’autorità per ragioni di igiene, punita dall’articolo 650 del codice penale, con l’arresto sino a tre mesi o con l’ammenda sino a 206 euro. Il ricordato Decreto-legge del 25 marzo u.s. ha abrogato le sanzioni penali, sostituendole con quella amministrativa da 400 a 3000 euro, irrogata dal Prefetto. Come se ciò non bastasse, i moduli medesimi sono stati redatti con uno stile cripto – burocratichese, che, se non ci fosse di mezzo la tragedia di una pandemia che sta sconvolgendo il mondo, sarebbe degno di un film di Totò e Peppino. Ma purtroppo qui c’è poco da ridere, a fronte delle sanzioni – anch’esse cangianti e cangiate – previste per i trasgressori, dove riesce difficile capire non solo all’Uomo della strada, quale sia il nebuloso spartiacque tra la condotta lecita e quella illecita, ma anche a chi mastichi un po’ di diritto, trattisi di avvocato o di magistrato (la stampa ne ha riferito recentemente, circa garbati confronti interpretativi tra dei tutori dell’ordine ed un giudice che voleva solo fermarsi a pregare in chiesa).
In claris non fit interpretatio recitava il Diritto romano (ciò che è chiaro non ha bisogno di essere “interpretato”, con tutti gli arbitrii che ciò può comportare), ritenuto da sempre ratio scripta (razionalità scritta ) tanto che da tempo viene studiato in 120 università della Cina, dove la sua traduzione attualizzata costituisce il vigente sistema del diritto privato in quello sterminato Paese.
L’Italia “è la culla der diritto…ed er diritto ce s’è cullato così bene, che s’è addormito e nun se sveja più”: così diceva nel lontano 1973 il nostro Maestro di procedura civile Virgilio Andrioli.
Lo sventurato cittadino che viene fermato per il doveroso controllo, deve firmare sotto la propria responsabilità “di essere a conoscenza delle misure di contenimento del contagio vigenti alla data odierna ed adottate ai sensi degli artt. 1 e 2 del decreto legge 25 marzo 2020, n.19, concernenti le limitazioni alle possibilità di spostamento delle persone fisiche all’interno di tutto il territorio nazionale; di essere a conoscenza delle ulteriori limitazioni disposte con provvedimenti del Presidente della Regione [……] etc. ; di essere a conoscenza delle sanzioni previste dall’art. 4 del decreto legge 25 marzo 2020, n. 19.
Chi è a conoscenza, prima di firmare, di queste norme? Se tra i lettori-comuni cittadini di questo articolo c’è ne è uno, alzi virtualmente la mano!
di Tito Lucrezio RIZZO