K metro 0 – Roma – “Le decisioni prese” dagli Usa sull’accordo per il nucleare con l’Iran “non rimarranno senza conseguenze, dobbiamo agire ora”. Così ha dichiarato il presidente della Commissione Europea, Jean-Claude Juncker, all’ ultimo vertice di Sofia tra i leader UE e quelli dei 6 Paesi balcanici “bussanti”. La Commissione UE ha fatto
K metro 0 – Roma – “Le decisioni prese” dagli Usa sull’accordo per il nucleare con l’Iran “non rimarranno senza conseguenze, dobbiamo agire ora”. Così ha dichiarato il presidente della Commissione Europea, Jean-Claude Juncker, all’ ultimo vertice di Sofia tra i leader UE e quelli dei 6 Paesi balcanici “bussanti”. La Commissione UE ha fatto ricorso, così, alla norma del 1996 che punta a neutralizzare gli effetti delle scelte americane per le imprese europee; e ha deciso di permettere alla Banca Europa degli Investimenti di facilitare gli investimenti delle aziende europee in Iran.
La norma del cosiddetto “statuto di blocco” del 1996 fu posta per contestare le sanzioni Usa su Cuba, ma non fu mai applicata perché, tra USA e UE, si trovò un accordo. Oggi, ben piu’ complessa è la situazione creatasi con l’annuncio di pochi giorni fa di Trump del prossimo ritiro americano dall’ accordo sul nucleare sottoscritto nel 2015, con l’Iran, insieme a UE, Regno Unito, Francia, Germania, Russia e Cina. Ritiro che Trump ha motivato accusando Teheran di “mentire” riguardo al proprio programma nucleare, dato che Israele, stretto alleato degli USA, avrebbe “prove nuove e conclusive dell’esistenza del programma nucleare bellico segreto” iraniano.
Quello degli USA è un indiretto “diktat” all’ Europa: da decenni gli States impongono “sanzioni secondarie”, indirette, agli alleati recalcitranti a seguirli. Ma i Paesi UE avranno il coraggio di resistere, e soprattutto di mantenere tutti la stessa linea?
“L’ UE manterrà i propri impegni sull’accordo con l’Iran, e cercherà di mettere in campo strumenti di tutela per le imprese che hanno deciso di tornare a investire in Iran”, ha detto apertamente, a Sofia, il premier italiano Gentiloni. Bisogna “impegnarsi al massimo a dare sostegno alle imprese, ma i rischi connessi alle sanzioni secondarie degli Usa sono effettivi, e quindi bisogna vedere fino a che punto si riusciranno a mantenere gli impegni”.
Dall’ altra sponda, l’Iran di Rouhani, la UE ha ricevuto a metà maggio un “controultimatum”. Entro 60 giorni, i firmatatri dell’accordo del 2015 dovranno decidere se sostenere la posizione di Trump, oppure mantenere i rapporti commerciali col Paese degli ayatollah.
Cosa farà l’Italia? Sul piano puramente economico-finanziario, è innegabile che al nostro Paese costerebbe molto di più dissentire dagli USA che rinunciare a scambi commerciali con Teheran. Su tutto l’import di gas dall’ Iran (il quale detiene il 18% delle riserve mondiali di gas naturale oltre al petrolio), l’Italia, infatti, pesa appena l’1,5%, contro il 45% della Cina e il 18% dell’India; mentre i nostri scambi economici con questo Paese ammontavano a 7 miliardi di euro nel 2011 e a circa 3 miliardi l’anno oggi. Ma la questione, chiaramente, è soprattutto politica: a dare una prima risposta a Trump, già prima del vertice di Sofia, è stato l’11 maggio il ministro degli esteri francese Le Maire, fautore d’una piu’ forte e indipendente politica estera europea (al di là dell’indubbia sintonia manifestata a Washington, a fine aprile, da Macron e Trump), evitando di essere “obbedienti vassalli” degli USA. Le proposte di Le Maire comprendono anche la creazione d’un organismo europeo analogo a quello statunitense dell’Office of Foreign Assets Control (OFAC), agenzia governativa. operante per conto del Tesoro americano, che commina multe (in realtà discutibili in termini di diritto internazionale) ad aziende e individui che, commerciando in dollari statunitensi con Paesi non graditi a Washington, violino le sanzioni commerciali e finanziarie imposte a tali Paesi dagli USA.
Fabrizio Federici