K metro 0 – Questo libro, aggiornato al mandato Napolitano, si apre con il bel saggio a cura di Aldo Mola, il più accreditato studioso della storia della Monarchia in Italia, il cui contributo ha impreziosito l’opera, in quanto, pur nella sua necessaria essenzialità, offre uno spaccato esaustivo dell’attenzione per la figura del Capo dello
K metro 0 – Questo libro, aggiornato al mandato Napolitano, si apre con il bel saggio a cura di Aldo Mola, il più accreditato studioso della storia della Monarchia in Italia, il cui contributo ha impreziosito l’opera, in quanto, pur nella sua necessaria essenzialità, offre uno spaccato esaustivo dell’attenzione per la figura del Capo dello Stato nel periodo regio, da Carlo Alberto al Re di maggio.
Il che riveste un peculiare interesse, in quanto consente al Lettore di mettere a fuoco gli elementi di continuità e di dissonanza tra le due forme di Governo, arricchendo in tal modo l’impianto organico del libro, dove troviamo a seguire uno specifico “capitolo di transito”, curato dal Rizzo sul tema della delicatissima fase di transizione dalla Monarchia alla Repubblica. In tale fase – se non ci fosse stato il primato della legge morale nell’incertezza di quella civile, attraverso il rispetto della prima da parte di due galantuomini come re Umberto II e il presidente Alcide De Gasperi – si sarebbe avuta una nuova e più efferata guerra civile. Il testo ripercorre la sequenza di tutti i Presidenti a far data dal De Nicola, evidenziando che nell’arco ormai prossimo dei 70 anni della Repubblica, la figura del Capo dello Stato è andata ad acquisire una valenza sempre più incisiva sulla scena politica, essendo cambiata la modalità di esercizio dei correlati poteri. Il volume viene a proporsi come saggio di politica e insieme di dottrina, non appiattito su profili esclusivamente giuridici, ma vivificato dall’aderenza alla realtà storica, mirando a stabilire un ideale colloquio tra il Lettore e coloro che hanno ricoperto le più alte responsabilità istituzionali dall’avvento della Repubblica ai giorni nostri, con una dichiarata ambizione di innovatività rispetto alla letteratura già esistente in tema.
L’Autore stesso spiega che la pubblicazione non è stata pensata per un pubblico interessato a ricostruzioni brillanti di aneddoti più o meno curiosi, di retroscena della politica o di vicende da rotocalco né, per converso, che è stato concepito ad uso esclusivo degli studiosi della figura del Capo dello Stato nella sua dimensione storico–giuridica. Lo scopo che si è prefissato, è quello di avvicinare il più possibile alle Istituzioni, i giovani ed i meno giovani – i primi per apprendere ed i secondi per ricordare – ricostruendo i travagli, le tensioni ideali, i momenti difficili e quelli felici di un’Italia filtrata, nell’arco di quasi 70 anni, tramite l’esperienza pubblica degli inquilini del “Colle” per eccellenza. Ciò attraverso l’esame di documenti di archivio, primo fra tutti – ma non solo – quello della Presidenza della Repubblica, in anni non lontani rinnovato, ampliato e riorganizzato per l’accessibilità al pubblico. Quotidiani d’epoca e contributi di dottrina – questi ultimi particolarmente intensi durante il peculiare mandato a Napolitano – hanno altresì supportato un’analisi nella quale l’identità umana di ciascun Presidente si proietta nella dimensione istituzionale, in un tutto armonico nel quale si cerca di meglio comprendere il ruolo effettivo di ciascun Capo dello Stato nella storia repubblicana, attraverso il vissuto personale e la formazione politico-culturale di ognuno di essi. Le figure dei vari Presidenti non sono state oggetto di idealizzazioni fittizie, e quindi inattendibili sotto il profilo umano, storico e politico, che se possono offrire delle immagini appaganti per dei superficiali estimatori, sarebbero risultate mistificatorie del loro ricordo. Finché i rapporti tra Governo e Parlamento si sino svolti in un piano di lineare dialettica istituzionale, il compito di ciascun Presidente della Repubblica si è mantenuto, fondamentalmente, nell’alveo di una funzione di garanzia delle minoranze, onde evitare quella deriva autoritaria descritta dal De Tocqueville come “dittatura della maggioranza” ai danni della minoranza.
Nell’ipotesi, viceversa, divenuta sempre più frequente a far data dalla presidenza Pertini, di una crescente confusione di ruoli fra i tre Poteri tradizionali – il Legislativo, che è quello sovrano per eccellenza, l’ Esecutivo ed il Giudiziario che, pur nella loro piena autonomia, sono funzionali al primo – ovvero di “lacerazione” fra Istituzioni rappresentative e rappresentati, il Capo dello Stato si è trovato a dover svolgere una delicata funzione di ricucitura sartoriale” fra il c.d. “Paese legale” ed il “Paese reale”, onde evitare che la protesta dei cittadini delusi dalla politica, potesse involversi nel qualunquismo anti-politico o, addirittura, in opzioni eversive dell’ordine costituzionale.
Ecco allora che il “ruolo politico”, oggettivamente resosi necessario a carico del Capo dello Stato, ha preso corpo non nel senso – costituzionalmente inammissibile – di svolgimento di un’azione attuativa del programma di un governo espressivo della maggioranza emersa pro tempore in Parlamento, ma nel senso di realizzatore di un indirizzo politico nel senso più ampio della parola: cioè degli interessi generali della polis, durevolmente scolpiti nella Costituzione. Oggi non si discute più dunque della legittimità – ormai acquisita – dell’esternazione presidenziale, la cui opportunità si è venuta nel tempo ad esaltare nel contesto di un clima perennemente rissoso tra maggioranza ed opposizione, che rischia di paralizzare il sistema Paese, quanto dei limiti nei quali essa possa esercitarsi. Ad avviso dell’Autore , ogni qualvolta il Capo dello Stato non possa altrimenti esercitare, con la necessaria incisività ed efficacia, la funzione di garanzia dei valori e dei principi contenuti nella Costituzione, di cui Egli è il supremo tutore, ogni esternazione funzionale a quella garanzia va considerata come forma aggiornata del ruolo che il Presidente della Repubblica è chiamato ad interpretare – sono parole del Calamandrei – come “viva vox Constitutionis”.
Ciò nonostante, non è da ritenersi inattuale il monito di Vittorio Zincone (1957), che la figura del Presidente di una Repubblica parlamentare dovesse risultare più vicina a quella del “confessore, che non del predicatore”.