Arabia Saudita, caso Khashoggi: condanna a morte per 5 persone

Arabia Saudita, caso Khashoggi: condanna a morte per 5 persone

K metro 0 – Riyad – La corte di giustizia saudita ha emesso una condanna a morte per cinque persone, la cui identità non è stata ancora resa nota, che hanno preso parte nel 2018 all’omicidio del giornalista Jamal Khashoggi nel consolato saudita a Istanbul. Alla sbarra c’erano in tutto 11 persone: tre sono state

K metro 0 – Riyad – La corte di giustizia saudita ha emesso una condanna a morte per cinque persone, la cui identità non è stata ancora resa nota, che hanno preso parte nel 2018 all’omicidio del giornalista Jamal Khashoggi nel consolato saudita a Istanbul.

Alla sbarra c’erano in tutto 11 persone: tre sono state condannate a 24 anni complessivi di carcere, mentre i restanti imputati sono stati assolti. Il portavoce della procura saudita, Shalan al-Shalan, nel corso di una conferenza stampa trasmessa dall’emittente al-Arabiya, ha detto: “I nostri investigatori hanno dimostrato che, in principio, non c’era l’intenzione di uccidere” – il cittadino saudita Jamal Khashoggi e che quindi – “non c’era premeditazione”.

Era il 2 ottobre 2018, quando Khashoggi, cittadino saudita entrò al consolato di Istanbul per ottenere un documento di nulla osta per sposare la signora Hatice Cengiz, ma da lì non uscì mai più. Quel giorno la fidanzata lo aspettò per più di tre ore davanti al consolato con il suo cellulare in mano, il giornalista fu ucciso, fatto a pezzi e il suo corpo non fu mai ritrovato.

L’ex vicecapo dell’intelligence Ahmed al Asiri è stato indagato, ma rilasciato per prove insufficienti, anche Saud al Qahtani, stretto consigliere del principe ereditario saudita Mohammed bin Salman, non è stato incriminato per l’omicidio del giornalista. Inizialmente secondo le indagini condotte dagli esperti dell’Onu c’erano “prove credibili” di responsabilità individuali del consigliere del principe. Ma la sentenza per l’omicidio di Khashoggi “non soddisfa lontanamente le aspettative sia del nostro Paese che della comunità internazionale”. Lo ha dichiarato il portavoce del ministero degli Esteri turco, Hami Aksoy, nella prima reazione ufficiale di Ankara alla condanna a morte di 5 imputati per l’uccisione del reporter e dell’assoluzione delle figure vicine al principe ereditario Mohammed bin Salman.

La Turchia aveva chiesto l’estradizione dei sospetti per processarli nel luogo in cui è avvenuto il delitto. Intanto il processo è stato duramente criticato a livello internazionale: «La giustizia è stata calpestata», accusa senza mezzi termini Reporters sans Frontières. Secondo il suo segretario generale Christophe Deloire, la condanna dei cinque imputati «è un modo per farli tacere e nascondere la verità per sempre». Per Amnesty International la sentenza non porta «né giustizia né verità». In aula, al momento della lettura della sentenza, erano presenti i parenti della vittima e i suoi avvocati, oltre ai rappresentanti dei cinque membri permanenti del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite e della Turchia. In base a quanto prevede la legge saudita, le identità delle persone condannate a morte non sono state svelate e non lo saranno fino a quando la sentenza non diventerà definitiva. Inoltre, prevede che le condanne a morte debbano essere confermate in appello e dalla Corte suprema. Smentito ancora una volta il possibile ruolo di Mbs nell’omicidio.

Il Regno Saudita, invece, rivendica di aver portato i responsabili dell’omicidio davanti alla giustizia e ottiene il consenso dei familiari di Khashoggi, che secondo il Washington Post avevano ricevuto nei mesi scorsi notevoli doni (risarcimenti). Con il verdetto di oggi, l’Arabia Saudita prova così a mettere in archivio la vicenda, che più di tutte ne ha danneggiato la reputazione e ripulirsi l’immagine internazionale in vista della vetrina del G20, che è previsto il prossimo anno nella capitale saudita.

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