K metro 0 – Torino – A distanza di poche ore l’una dall’altra, la presentazione del programma della 37esima edizione del Torino film festival (22-30 novembre), molto cinefilo come vuole tradizione ma aperto al pubblico più vasto, e la nomina del nuovo presidente del Museo del cinema, che del festival è in qualche modo “editore”. Enzo
K metro 0 – Torino – A distanza di poche ore l’una dall’altra, la presentazione del programma della 37esima edizione del Torino film festival (22-30 novembre), molto cinefilo come vuole tradizione ma aperto al pubblico più vasto, e la nomina del nuovo presidente del Museo del cinema, che del festival è in qualche modo “editore”. Enzo Ghigo, nominato dalla Regione Piemonte che per consuetudine ha diritto a indicare il presidente della Mole va a sostituire Sergio Toffetti, l’ex presidente che si è dimesso un mese fa perché riteneva inadeguato il nuovo direttore del Museo, Domenico De Gaetano, gradito al Comune di Torino targato Cinquestelle, esperto di cinema ma considerato da molti figura debole. Un peso massimo della critica, storia e saggistaica del cinema come Toffetti, e un appassionato come Ghigo che segue il cinema da spettatore, seppure ad alta frequenza, stando a quanto lui affermava nelle chiacchiere informali tra un impegno politico e l’altro.
Presidente della Regione Piemonte per due mandati a cavallo degli anni ’90 e i 2000, poi altre due volte senatore di Forza Italia, ora da un paio d’anni a distanza ravvicinata dalla politica, Ghigo, 66 anni, ha vaste relazioni con il mondo che ha frequentato, politica e d’intorni, senza dimenticare che nella sua prima vita si occupava di raccolta pubblicitaria per l’impero mediatico di Berlusconi.
Contatti, esperienze e relazioni dunque molto importanti per chi, come Presidente, deve amministrare un’azienda con 80 dipendenti e 14 milioni di bilancio. Ma soprattutto deve rappresentare il Museo nelle occasioni ufficiali, e conoscerlo palmo a palmo, mantenere saldi rapporti con la politica che lo finanzia, distribuire i fondi a disposizione tra i vari festival torinesi, a cominciare dal Torino film festival, cercare e nominare il direttore del Tff – Emanuela Martini è in scadenza – e trovare sponsor e mecenati che sostengano il Museo e le manifestazioni cinematografiche. Messa da parte dunque la differenza di competenze, che comunque male non fanno, in fatto di cinema e di Museo tra le due figure, il nuovo presidente con le sue esperienze politiche e la sua passione per il cinema potrebbe essere la persona giusta. Lo scopriremo vivendo.
Ed ecco, dunque, la 37esima volta del Torino film festival. Un programma prezioso quello preparato per la sesta e forse ultima volta dal direttore Emanuela Martini. Sicuramente buono per i cinefili e in qualche modo vicino anche al grande pubblico. La Martini per avvicinare al festival anche un pubblico più vasto ha puntato tutto su un genere del cinema: l’horror, che conta a Torino tanti proseliti non necessariamente votati alla cinefilia. Non a caso poche settimane fa si è svolta una nuova edizione di un piccolo festival, che intanto cresce di anno in anno, dedicato appunto al cinema dell’orrore. Ed ecco allora una intera retrospettiva con 35 film di genere horror, tutti capolavori che vanno dal 1919 al 1969. Una carrellata che propone i classici del genere, entrati a tutti gli effetti nella storia del grande cinema: da Il gabinetto del dottor Caligari di Wiene a Nosferatu di Murnau, da Freaks di Browning, a Il dottor Jekyll e mr. Hyde di Fleming, da Dracula di Fisher a Il pozzo e il pendoo di Corman, a Gli uccelli di Hitchcock. a Rosemary’s baby di Polanski, a Toby Dammit di Fellini, passando per i padri e maestri del cinema italiano dell’orrore come Mario Bava con La maschera del Demonio, e Riccardo Freda con L’orribile segreto del dr. Hichcock. Fino a scavalcare tutti gli anni ’60: poi verrà l’horror dei nostri giorni che, fatte le debite eccezioni, vuole spaventare non tanto con le vicende narrate ma con i rumori, i suoni e gli effetti speciali. Un genere, l’horror, considerato a lungo un cinema minore e poi sdoganato negli anni ’50 dalla critica francese, al quale per il linguaggio e lo stile, sono debitori tutto il cinema, la pubblicità, i video dei cantanti, perfino una certa televisione.
E l’icona di questa edizione, alla quale è dedicato il manifesto, è un’attrice angloamericana diventata diva in Italia proprio grazie al cinema dell’orrore tricolore, l’affascinante Barbara Steele, alla quale verrà consegnato il Gran premio Torino alla carriera: il genere si identifica con lei. E tanto per non esagerare, non mancherà neanche la “notte horror”, che negli ultimi anni ha richiamato centinaia di appassionati.
E a proposito di ospiti di richiamo, un punto di forza di quest’anno è Carlo Verdone, che in qualità di “direttore ospite” ha scelto cinque film che hanno segnato la sua sensibilità di attore e regista. Classici, ovviamente, da Viale del tramonto di Wilder, a Ordet di Dreyer, a Divorzio all’italiana di Germi.
Nella giuria c’è Cristina Comencini, che ne è presidente. Ancora, tra gli altri ospiti, ci sono anche Asia Argento che presenta il documentario Viva la vida sull’artista Frida Kahlo, e Gianni Amelio con il restauro del suo film del ’92 Ladri di bambini. Un omaggio è dedicato anche a Mario Soldati con i suoi impareggiabili “viaggi in Italia”, tra cibo, emigranti e il Paese che cresce.
Ma al centro del festival come sempre c’è il concorso, 15 film, tutti di esordienti o quasi. Ci sono anche due italiani, Il grande passo, di Antonio Padovan, che mette insieme i due “gemelli di stazza” Giuseppe Battiston e Stefano Fresi in una commedia di gusto agrodolce che fa pensare al cinema di Carlo Mazzacurati, prematuramente scomparso. L’altro è Now is Everything, titolo inglese prodotto in America e quindi di bandiera Usa ma di autori italiani, due registi, Riccardo Spinotti e Valentina De Amicis. Con loro si disputeranno il prestigioso premio del Torino film festival giovani registi che arrivano da mezza Europa, Cile, Russia, Argentina, Taiwan, Tunisia, Singapore. Tanti piccoli gioielli da scoprire. Del resto, proprio la scoperta di nuovi talenti è il segreto della formula del Tff, e nel corso degli anni ne sono venuti fuori tanti che dopo Torino hanno mietuto Leoni, Palme, Orsi d’oro e Oscar. Il festival, insomma, aveva visto giusto.
Un programma davvero prezioso dunque quello messo insieme da Emanuela Martini, con un finanziamento che rappresenta un minimo sindacale, 1.900.000 euro, tutto compreso, anche l’attività di tutto l’anno della squadra che affianca il direttore. Il suo mandato scade dopo sei anni, più un decennio e oltre di essenziale numero due con Moretti, Amelio, Virzì. Lei si è detta disponibile a continuare, con quelle poche risorse è riuscita a mantenere il successo e il prestigio del festival, e un ulteriore incarico sarebbe una scelta giusta. Ma il futuro del Tff è nelle mani del Comitato di gestione del Museo del cinema col suo nuovo presidente Ghigo. Se un nome nuovo deve essere, che sia almeno all’altezza della Martini. E qualche spicciolo in più non guasterebbe.
di Nino Battaglia