K metro 0/Africa ExPress – Gitega – Il governo tanzaniano vuole assolutamente rimandare a casa i rifugiai del Burundi e fa di tutto per rendere difficile la vita ai 70.000 profughi del campo di Nduta nel nord-ovest del Paese. Dodoma vieta ora qualsiasi attività commerciale all’interno del campo. I proprietari hanno ricevuto un laconico preavviso poco
K metro 0/Africa ExPress – Gitega – Il governo tanzaniano vuole assolutamente rimandare a casa i rifugiai del Burundi e fa di tutto per rendere difficile la vita ai 70.000 profughi del campo di Nduta nel nord-ovest del Paese.
Dodoma vieta ora qualsiasi attività commerciale all’interno del campo. I proprietari hanno ricevuto un laconico preavviso poco prima che gli agenti di sicurezza iniziassero a demolire i loro negozi. Per molti profughi queste entrate erano un’importante risorsa, inoltre il piccolo commercio li rendeva indipendenti, senza essere costretti a dipendere dalle donazioni. Gli aiuti spesso non sono sufficienti per le famiglie, che stentano a mettere un pasto decente in tavola almeno una volta al giorno.
Secondo i rifugiati pare evidente che il divieto di tenere aperta qualsiasi attività e il fatto che domenica scorsa il principale mercato sia stato distrutto, sono angherie per costringerli a lasciare “volontariamente” il Paese, visto che il governo tanzaniano ha dovuto abbandonare il progetto dei rimpatri forzati.
Alla fine di agosto i ministri dell’Interno Kangi Lugola (Tanzania) e Pascal Barandagiy (Burundi) avevano siglato un documento per il rimpatrio forzato di 200.000 burundesi, attualmente ospitati nei campi in Tanzania. Tre settimane fa tale progetto è stato bloccato dall’UNHCR, che aveva espresso perplessità circa la sua attuazione, specificando che nessuno può essere costretto a far ritorno a casa, visto che a tutte queste persone, in quanto profughi, è stato riconosciuto il diritto di asilo.
Nel 2017 i due Stati – Tanzania e Burundi – e l’UNHCR avevano sottoscritto un accordo sui rimpatri, ma solamente relativo a quelli volontari, secondo le norme internazionali. Dal settembre 2017, 75.000 burundesi hanno lasciato liberamente il Paese ospitante.
La situazione nel Burundi è tutt’altro che rassicurante. Lo ha spiegato la commissione d’inchiesta del ONU che ha denunciato gravi violazioni dei diritti umani in questo periodo preelettorale; già ora nel Paese si respira un clima di paura. Le presidenziali e legislative sono praticamente alle porte: sono state messe in calendario per il mese di maggio 2020 e Nkurunziza, grazie al referendum del 2018 si è assicurato altri due mandati. L’UNHCR ha anche confermato che mensilmente centinaia di persone fuggono dal Burundi e ha chiesto agli Stati confinanti di non chiudere le frontiere e di concedere asilo alle persone che necessitano di protezione.
Il clima nel Paese è talmente teso, che persino il rappresentante speciale del segretario generale dell’ONU in Burundi, Michel Kafando, ha gettato la spugna, rassegnando le proprie dimissioni. Il 30 ottobre scorso Kafando ha spiegato al Consiglio dei Diritti Umani dell’ONU che la situazione nel Paese non è serena, dovuta all’ escalation di intolleranza politica e violazioni dei diritti civili e politici. Il governo avrebbe cercato di correre ai ripari, cercando di instaurare un dialogo con tutti partiti, gli amministratori locali e le forze di sicurezza.
Il contesto socioeconomico continua a peggiorare, ma bisogna ammettere, che per quanto concerne la sicurezza, la situazione è migliorata, anche se resistono focolai di abusi, violazioni dei diritti umani. È opportuno incoraggiare il governo affinchè faccia seguito ai suoi obblighi e garantisca la sicurezza a tutti i suoi cittadini. Deve mettere un punto finale all’impunità”. E ha aggiunto: “Mi auguro che la prossima tornata elettorale sia trasparente, perchè elezioni mal organizzate e contestate, si sa, sono sempre causa di conflitti”.
“Anche se la situazione umanitari resta ancora preoccupante, bisogna sperare che i rifugiati facciano ritorno a casa volontariamente”, ha detto Kafando.
Nel suo rapporto il rappresentante del segretario generale dell’ONU ha sottolineato che il dialogo interburundese non è mai decollato per mancanza di volontà degli attori politici, parere contestato da Chauvineau Mugwengezo, presidente della coalizione per la restaurazione degli accordi di Arusha. Secondo Mugwengezo l’opposizione sarebbe sempre stata disponibile al dialogo, Nkurunziza si sarebbe sempre rifiutato di comunicare con le parti in causa, sfidando così anche la comunità internazionale.
La pace non è ancora tornata nell’ex protettorato belga, le violazioni dei diritti umani e civili persistono. Mentre Kafando presentava le sue dimissioni, sono stati arrestati 4 giornalisti del gruppo editoriale Iwacu, uno dei pochi media indipendenti ancora rimasti aperti nel Paese, in manette assieme al loro autista. I 5 erano in procinto di partire per un servizio sull’incursione di miliziani Red-Tabara, gruppo ribelle burundese, che aveva appena oltrepassato la frontiera provenienti dalla Repubblica Democratica del Congo. Nei giorni scorsi si sono verificati forti scontri nella provincia di Bubanza tra i ribelli e l’esercito burundese.
di Cornelia I. Toelgyes