K metro 0 – Londra – Il primo ministro Boris Johnson è riuscito a ottenere il voto dopo l’ennesimo rinvio della Brexit. Il quotidiano “The Times” riporta le trionfali parole di Johnson, secondo cui finalmente la Brexit potrà essere realizzata se gli elettori gli daranno la maggioranza. A sua volta, il quotidiano “The Guardian” attribuisce
K metro 0 – Londra – Il primo ministro Boris Johnson è riuscito a ottenere il voto dopo l’ennesimo rinvio della Brexit. Il quotidiano “The Times” riporta le trionfali parole di Johnson, secondo cui finalmente la Brexit potrà essere realizzata se gli elettori gli daranno la maggioranza. A sua volta, il quotidiano “The Guardian” attribuisce al parlamento il merito di aver rotto lo stallo sulla Brexit consentendo la convocazione delle elezioni anticipate e rasserenando il clima in Europa. Il quotidiano “The Telegraph” afferma che la svolta raggiunta ieri, 29 ottobre, alla Camera dei comuni sul voto anticipato è frutto del cedimento del leader del Partito laburista Jeremy Corbyn che, sotto le pressioni provenienti da più parti, ha alla fine acconsentito allo scioglimento del parlamento. Al di là della dinamica parlamentare che ha portato alla decisione di andare al voto il 12 dicembre, sottolinea il quotidiano “Financial Times“, è estremamente incerto l’esito delle prime elezioni convocate alla vigilia del Natale nella storia del Regno Unito. Il risultato potrebbe essere molto differente dai calcoli in base ai quali i partiti hanno deciso di andare al voto. In particolare, l’esito delle elezioni potrebbe riservare a Johnson una brutta sorpresa. Secondo il “Financial Times”, l’esito della scommessa di Johnson di ottenere una maggioranza in grado di realizzare finalmente la Brexit nel prossimo parlamento potrebbe provocare un risultato diametralmente opposto. A sostegno di questa tesi, il “Financial Times” ricorda che l’analogo tentativo compiuto nel 2017 dal predecessore di Boris Johnson alla guida del governo e del Partito conservatore, Theresa May, sortì l’effetto di eleggere un parlamento sostanzialmente privo di una stabile maggioranza. Il “Financial Times” nota poi come diversi importanti esponenti dei Tory temano che “il momento della Brexit sia ormai passato”. Infine, alla vigilia del Natale, gli elettori potrebbero essere assorbiti da altri problemi e preoccupazioni.
E il leader laburista Jeremy Corbyn ignora il tema della Brexit nella sua prima dichiarazione dopo il via libera del parlamento alla convocazione di elezioni anticipate il 12 dicembre. “Questo voto è l’opportunità di una generazione per cambiare il paese”, ha detto il leader laburista, citato dal Guardian. “La scelta non potrebbe essere più chiara: un governo laburista sarà al vostro fianco, mentre i conservatori di Boris Johnson, che pensano di essere nati per governare, si occuperanno solo di pochi privilegiati – ha detto Corbyn – ora lanceremo la campagna più ambiziosa e radicale per un vero cambiamento che abbia mai visto il paese. Questa è la nostra possibilità di costruire un paese per i tanti e non per i pochi adatto alla prossima generazione”.
Ed è subito scontro da campagna elettorale fra il premier conservatore Boris Johnson e il leader dell’opposizione laburista Jeremy Corbyn proprio nell’ultimo Question Time di mercoledì 30 ottobre alla Camera dei Comuni. Corbyn ha attaccato Johnson sui tagli alla sanità pubblica (Nhs), accusando di volerla far colonizzare da aziende private americane nell’ambito della sua Brexit “in stile Donald Trump” e dell’accordo di libero scambio fondato sulla deregulation che gli ha imputato di voler firmare con gli Usa dopo l’uscita all’Ue. E ha parlato delle elezioni come di “una chance per mettere fine alle politiche Tory di austerity e privatizzazioni”. Il premier ha negato che l’Nhs sia in vendita e ha promesso investimenti nella sanità, mentre ha accusato Corbyn di fare solo “protesta”, di non avere capacità di “leadership”, di voler “distruggere l’economia” britannica a colpi di “nazionalizzazioni” e aumenti di tasse. E ha aggiunto che l’alternativa alle elezioni sarà fra una vittoria Tory con la “Brexit fatta” e un futuro positivo per il Regno, oppure un governo di coalizione a guida laburista sotto il quale il Paese sarà costretto a dividersi di nuovo con un secondo referendum sulla Brexit e un altro sull’indipendenza della Scozia.
La “Brexit non rappresenta business as usual, è una rottura di 44 anni, e tra poco 45 anni, di integrazione, relazioni di partenariato“, i britannici “uscendo dall’Ue escono da più di 600 accordi internazionali, dunque non si può dire business as usual, cioè che tutto andrà avanti come prima” afferma amaramente il capo negoziatore Ue per la Brexit Michel Barnier, facendo riferimento alle limitazioni sulla libertà di circolazione dei cittadini e poi precisa che “l’accordo di recesso è equilibrato” e ribadisce il suo dispiacere per l’uscita del Regno Unito dall’Ue. “Noi ci prepariamo ad un recesso ordinato del Regno Unito il 1° dicembre, il 1° gennaio o il 1° febbraio a seconda della decisione della ratifica e poi immediatamente all’indomani ci prepareremo al secondo negoziato straordinario e difficile sulle relazioni future” ha poi concluso il capo negoziatore Ue per la Brexit Michel Barnier.
Intanto, si fanno i conti economici degli effetti della Brexit. L’economia britannica infatti potrebbe contrarsi a un ritmo di 70 miliardi di sterline all’anno, se l’uscita dall’Unione europea avverrà in base ai termini recentemente negoziati dal premier Boris Johnson con Bruxelles. Sono le conclusioni dello studio condotto dal National Institute of Economic and Social Research (Niesr), per il quale le attività economiche “non saranno incentivate dall’approvazione dell’accordo per la Brexit proposto dal governo”. In base ai termini dell’accordo, sostiene lo studio del Niesr, l’economia britannica perderà il 3,5 per cento del suo valore, rispetto ad uno scenario nel quale il Regno Unito rimarrebbe nell’Unione europea. La debolezza dell’economia, inoltre, verrebbe “amplificata dal rallentamento della domanda globale”. Secondo i dati del Niesr, inoltre, l’economia britannica ha già perso il 2,5 per cento rispetto al valore che avrebbe avuto se nel 2016 i britannici avessero votato per rimanere nell’Unione europea.
di Joseph Villeroy