K metro 0/Assadakah – Beirut – Lo ha annunciato lo stesso Hariri alla televisione nazionale in un discorso rivolto alla nazione, “Salgo ora al palazzo presidenziale di Baabda (località a 15 minuti da Beirut) per rassegnare le mie dimissioni al presidente della Repubblica Michel Aoun”, ha detto ieri nel pomeriggio, secondo quanto prevede l’articolo 69 della costituzione –
K metro 0/Assadakah – Beirut – Lo ha annunciato lo stesso Hariri alla televisione nazionale in un discorso rivolto alla nazione, “Salgo ora al palazzo presidenziale di Baabda (località a 15 minuti da Beirut) per rassegnare le mie dimissioni al presidente della Repubblica Michel Aoun”, ha detto ieri nel pomeriggio, secondo quanto prevede l’articolo 69 della costituzione – “Ho preso questa decisione dopo aver ascoltato le richieste dei manifestanti, affermando che si è trovato in un vicolo cieco.”
Dopo la notizia delle dimissioni del premier Saad Hariri, a Beirut si stanno vivendo ore drammatiche, secondo quanto riporta Saad Kiwan da Beirut, alcuni squadristi di Hezbollah e del movimento Amal del Presidente del parlamento Berri, hanno attaccato la piazza centrale della rivolta a Riyad el-Solh e in Piazza dei Martiri hanno distrutto tutto: tende, installazioni e postazioni di tv e stampa, tentando di disperdere i manifestanti.
Notizie non confermate parlano anche di scontri e feriti tra i manifestanti pacifici, molte strade e percorsi principali sono chiusi con gomme bruciate. La provocazione è iniziata ieri mattina, quando un gruppo di teppisti ha voluto aprire una strada principale tra due settori di Beirut, armati di spranghe e bastoni, e la situazione è degenerata in uno scontro che le forze dell’ordine hanno fatto fatica a contenere. Il tutto il Paese il clima si è fatto rovente e non pochi parlano di probabili sviluppi ancora peggiori. Infatti, nella giornata di ieri gli squadristi hanno attaccato la piazza centrale. La domanda ora è: perché Hezbollah ha deciso di disperdere i manifestanti? Forse la sorpresa della notizia che il primo ministro Saad Hariri ha deciso di gettare la spugna? Si registra un numero imprecisato di feriti tra poliziotti, giornalisti e manifestanti. A breve è atteso il discorso del leader di Hezbollah, Hassan Nasrallah.
In Libano, la Costituzione prevede la spartizione dei poteri in base alle confessioni religiose (un primo ministro musulmano sunnita, un capo del Parlamento sciita, un presidente della repubblica cristiano maronita), gruppi spesso in contrasto fra loro, che si accusano a vicenda di essere collusi con agende estere. Oggi la protesta popolare è, per la prima volta, realmente multiconfessionale, visto che vi prendono parte anche i drusi.
Il Libano è scosso da proteste ininterrotte, giunte al 14esimo giorno, dovute alla crisi economica e al contrasto con il governo ai massimi livelli, accusato di corruzione. Gli istituti bancari, scuole e uffici governativi rimarranno chiusi per motivi di sicurezza e ordine pubblico. Due giorni fa i manifestanti libanesi hanno formato una catena umana di 170 km per impedire all’esercito di rimuovere uno sbarramento di terra battuta che blocca una strada sul mare, a nord-est di Beirut, facendo barricate e bloccando il traffico delle principali strade, mentre le forze di sicurezza cercavano di aprirla.
I militari sono intervenuti a Beirut e in altre località del paese per rimuovere le barriere, gli ostacoli e le tende eretti nei giorni scorsi sulle carreggiate, dando ultimatum ai manifestanti. In alcuni momenti i militari si sono scontrati con i manifestanti, come nel caso verificatosi lungo l’autostrada che collega Beirut a Tripoli, all’altezza della località di Jall a Dib.
Le proteste proseguono intonando un unico slogan “Killon yanii Killon” (“tutti significa tutti”): devono dimettersi, i manifestanti non hanno più timori a fare i nomi degli storici politici nazionali, come lo stesso premier Hariri, lo speaker del Parlamento Nabih Berri, il ministro degli Esteri e capo del Movimento patriottico libero Gebran Bassil, il Capo di Stato Michel Aoun.
Significativa la partecipazione della diaspora che hanno indetto manifestazioni di solidarietà ai manifestanti in tutto il mondo e in particolare nelle principali piazze d’Europa.