K metro 0 – Medio Oriente – Mentre l’attenzione dei mass-media e dell’opinione pubblica si sta nuovamente concentrando sulla Siria, con le ultime, sconvolgenti notizie da Douma (colpita, a quanto sembra, da un attacco con armi chimiche, come base della residua opposizione armata al Governo siriano), e i conseguenti rischi d’un pericoloso confronto militare tra
K metro 0 – Medio Oriente – Mentre l’attenzione dei mass-media e dell’opinione pubblica si sta nuovamente concentrando sulla Siria, con le ultime, sconvolgenti notizie da Douma (colpita, a quanto sembra, da un attacco con armi chimiche, come base della residua opposizione armata al Governo siriano), e i conseguenti rischi d’un pericoloso confronto militare tra le superpotenze, prosegue il braccio di ferro tra palestinesi e israeliani al confine della Striscia di Gaza. Iniziato venerdì 30 marzo, nell’anniversario delle dimostrazioni contro l’occupazione della Cisgiordania che, il 30 marzo 1976, si conclusero con l’uccisione di 6 palestinesi da parte delle forze israeliane.
“La violenza contro i civili potrebbe costituire dei crimini in base allo Statuto di Roma della Corte penale internazionale, così come l’utilizzo della presenza di civili per mascherare attività militari“. L’ ha detto il procuratore della Corte de L’Aja, Fatou Bensouda, a proposito della situazione che a Gaza vede contrapporsi israeliani e palestinesi, rivolgendosi implicitamente ad ambedue le parti. Bensouda esprime “grave preoccupazione” per il deteriorarsi della situazione, ricordando che l quest’ ultima è “sotto esame preliminare” da parte del suo ufficio.
Intanto, a Gaza, da quando, poco prima di Pasqua, è iniziata la “Marcia del ritorno”, si contano una trentina di morti, e più di 3000 feriti: dei quali più di 30 in gravi condizioni, con l’aggiunta di 500 intossicati. Negli ospedali, il 42% circa dei farmaci di base non è reperibile. Mentre perdura un silenzio diplomatico e, in parte, mediatico, assordante: senza che, da nessuna parte, nasca alcuna seria iniziativa per ristabilire la pace e, soprattutto, riavviare le trattative sul futuro della regione tra Israele e l’Autorità Nazionale Palestinese. Trattative gravemente bloccate – dopo la stagione di speranze apertasi con gli accordi di Oslo e di Washington degli anni ’90 – con l’ascesa al potere della destra in Israele (primi anni Duemila) e, all’opposto, la presa di potere di Hamas a Gaza del 2007. Sino alle conseguenze del generale aggrovigliarsi della situazione mediorientale dal 2011 in poi.
È doveroso per l’Europa, anche per le sue storiche responsabilità nella situazione di tutto il Medio Oriente, prendere l’iniziativa per far uscire il conflitto israelo-palestinese da questa disastrosa fase di stallo. Mentre il Segretario generale dell’ONU, Gutierres, e l’Alto rappresentante della UE per gli Affari Esteri, Federica Mogherini, chiedono un’inchiesta indipendente e imparziale su quel che è accaduto al confine con Israele, e quest’ultimo la rifiuta definendo assolutamente corretto il comportamento dei suoi militari, è necessario che un’Unione Europea forte ormai di 27 Paesi, confermi finalmente d’ essere non solo un’ Unione economico-finanziaria, ma anche un vero soggetto politico. Sin dal vertice di Venezia del lontano 1980, l’allora CEE riconobbe il diritto dei palestinesi a creare un loro Stato, fermo restando anche il diritto di Israele alla sicurezza. Oggi, sia la UE che l’Unione per il Mediterraneo, l’organizzazione sovranazionale nata, pochi anni fa, proprio dalle strutture della UE e comprendente ben 43 Paesi (rivieraschi del Mediterraneo e non), Italia compresa, hanno tutti gli strumenti e la credibilità necessari per fare da mediatori tra le parti in lotta. Riattivando un processo di pace che le parti migliori delle due società, israeliana e palestinese (vedi, ad esempio, movimenti pacifisti come il Bet’ Selem, “Peace now” e altri minori, dove da anni collaborano palestinesi e israeliani), desiderano fortemente, stanche di 70 anni di conflitto, e anche degli opposti integralismi. E’ necessario anche che l’ONU (come più volte fatto, in passato, per altre situazioni difficili, dal Sinai al Libano) interponga, tra le due parti in lotta, un’adeguata forza sovranazionale di “Peace Keeping”.
di Fabrizio Federici