K metro 0 – Berlino – Mentre tra USA e Cina è in corso la “guerra dei dazi”, col ricorso cinese appena presentato all’Organizzazione Mondiale del Commercio, il “terzo incomodo” rappresentato dalla Germania (che da più di un secolo ha in corso una forte penetrazione commerciale e finanziaria nell‘ex “Celeste Impero”, ed è primario partner commerciale
K metro 0 – Berlino – Mentre tra USA e Cina è in corso la “guerra dei dazi”, col ricorso cinese appena presentato all’Organizzazione Mondiale del Commercio, il “terzo incomodo” rappresentato dalla Germania (che da più di un secolo ha in corso una forte penetrazione commerciale e finanziaria nell‘ex “Celeste Impero”, ed è primario partner commerciale anche degli Stati Uniti) si insinua fortemente tra i due contendenti.
Così – cioè come un rivale, in sostanza – l’amministrazione Trump percepisce l’attivismo tedesco in Cina: al punto che, informa l’Associated Press, mentre Angela Merkel, insieme ai rappresentanti di varie aziende tedesche, si prepara a fare – da venerdì 6 settembre – la sua dodicesima visita nel Paese, l’ambasciatore americano in Germania, Richard Grenell, ha suggerito, al governo tedesco che “non è il momento degli affari come al solito con la Cina”. Il “disinteresse volontario della Cina nei confronti dei suoi impegni” su questioni importanti come Hong Kong, i rapporti con l’ONU e la stessa Organizzazione Mondiale del Commercio (implicito riferimento al ricorso di Pechino presso la WTO contro gli USA), insieme alle violazioni dei diritti umani in Tibet e Xinjiang, mostrano che il Partito comunista cinese “si oppone al valori che la Germania ama”.
“Speriamo che il cancelliere Merkel – conclude la nota del “Grande fratello” americano – prenda una posizione ferma per i valori che unificano la Germania dopo la caduta del comunismo: diritti umani, democrazia e Stato di diritto”.
In Germania, intanto, mentre la classe politica medita sui risultati delle ultime elezioni amministrative in Brandeburgo e in Sassonia – che hanno visto, in complesso, un calo, pur non eccessivo, dei partiti storici CDU e SPD, e un’ avanzata della forza di estrema destra AFD – i socialdemocratici, partito più antico della storia tedesca, sono impegnati in lunghe consultazioni interne, per eleggere il nuovo Presidente dopo le dimissioni, a giugno, di Andrea Nahles, dimessasi in seguito al deludente risultato (appena il 15%) alle ultime elezioni europee.
I media tedeschi minimizzano le 23 conferenze regionali previste dall’SPD, per scegliere il nuovo leader, nelle prossime sei settimane, descrivendo il tour come una stravagante sequenza di “appuntamenti sulla velocità”. Ma si tratta, in realtà, di un appuntamento molto importante, pienamente in linea con le tradizioni di democrazia dell’SPD. Il risultato delle conferenze è previsto per il 26 ottobre, con la designazione ufficiale del candidato alla presidenza: l’elezione del nuovo leader sarà alla conferenza principale del partito a dicembre.
La gara sembra abbastanza aperta. Il candidato di più alto profilo è l’attuale ministro delle finanze nel governo di coalizione con la CDU, Olaf Scholz, che ha scelto una collega relativamente sconosciuta dell’ex oriente comunista: i candidati, infatti, una quindicina, corrono quasi tutti “in ticket” (Presidente e vicepresidente, un po’ come nelle elezioni presidenziali USA, e un uomo e una donna): solo un candidato corre da solo. Scholz, spostandosi più a sinistra rispetto all’attuale politica moderata dell’SPD al governo, ha chiesto una tassa sul patrimonio per i super ricchi, asserendo: “Dobbiamo anche tagliare le tasse per coloro che hanno un reddito inferiore, per coloro che guadagnano un salario normale”.
Tra le file socialdemocratiche, infatti, serpeggia un forte malcontento per la linea moderata che continua a seguire il partito nel governo di coalizione: nel quale l’SPD si trova in posizioni esattamente rovesciate rispetto alla storica “Grande coalizione” del 1969-’72, con Willy Brandt cancelliere (rispetto alla quale, l’attuale GK non è neanche paragonabile, in termini di misure specifiche a favore dei lavoratori). Molti membri del partito, anche con incarichi di medio livello, stufi dell’appoggio alla Merkel, che pure ha guidato discretamente la più grande economia europea nell’ ultimo quindicennio, vogliono che il partito, con un forte esercizio di autocritica, si reinventi stando per un po’ all’ opposizione: sull’esempio magari dei laburisti britannici durante l’era Thatcher, o dei socialisti francesi anni ’70, prima della presidenza Mitterrand.
Altri contendenti alla leadership includono il ministro degli Affari europei, Michael Roth, e l’esponente dell’ala sinistra del partito, Ralf Stegner, uno degli attuali vicepresidenti; che corre con l’ex candidata alla presidenza tedesca Gesine Schwan. Sia Scholz che Roth, comunque, battono molto il tasto sulla politica europea della Germania. “Questa SPD è il partito europeo”, ha detto ultimamente Roth, in risposta ai suoi rivali, a Saarbrucken. “Viviamo in tempi dannatamente pericolosi. La democrazia è sotto pressione. L’autoritarismo sta crescendo … La nostra risposta a Donald Trump sono gli Stati Uniti d’Europa”. E “Solo uno stato sociale forte, un’Europa forte e un forte partito socialdemocratico”, ha aggiunto, “possono garantire che il mondo non si allontani e che restiamo uniti”.
Chi riuscirà a far superare all’ SPD quella che appare sempre più come una vera crisi esistenziale, guardando soprattutto alle prossime elezioni politiche?
di Fabrizio Federici