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Hong Kong e l’estate di fuoco, tra diritti, fakenews e violenze

Hong Kong e l’estate di fuoco, tra diritti, fakenews e violenze

K metro 0 – Hong Kong – Non si placano le proteste che hanno scosso l’ex colonia britannica. Dopo un inizio pacifico, i manifestanti hanno affrontato un’escalation di violenza da parte della polizia e di alcuni gruppi non bene identificati. Dopo dodici settimane, la situazione rimane tesa e l’irritazione da parte del governo centrale di

K metro 0 – Hong Kong – Non si placano le proteste che hanno scosso l’ex colonia britannica. Dopo un inizio pacifico, i manifestanti hanno affrontato un’escalation di violenza da parte della polizia e di alcuni gruppi non bene identificati. Dopo dodici settimane, la situazione rimane tesa e l’irritazione da parte del governo centrale di Pechino cresce, mentre una soluzione sembra lontana.

Un po’ di storia…

Hong Kong fu ceduta all’Impero Britannico e trattata dunque come una colonia dal Regno Unito fino al 1997, per l’esattezza il primo luglio, giorno in cui il contratto terminò e Hong Kong fu restituita alla Cina. Nonostante la maggior parte degli abitanti della penisola sia di etnia cinese, gli hongkonghesi non si sentono tali e anzi, durante il secolo e mezzo di dominazione britannica hanno assorbito usi e costumi occidentali, tra cui il modello scolastico e, soprattutto, quello economico, di stampo capitalista.

Con il passaggio di proprietà sono iniziare anche le prime proteste e rivendicazioni di autonomia e democrazia. Per ora Hong Kong si basa sul ‘un paese, due sistemi’, formula che avrà efficacia fino al 2047 e che tutela in qualche modo l’autonomia dell’ex colonia. Con l’avvicinarsi della data fatidica però, la pressione della Cina si fa sempre più sentire e la popolazione ha deciso di scendere in piazza. Dalla protesta degli ombrelli nel 2014, ispirata al movimento globale Occupy, fino ad oggi, con le proteste contro la legge sull’estradizione (trasformate poi in protesta per la libertà e democrazia), Hong Kong ha riscoperto una dimensione e una coscienza politica in contrasto con quella del governo centrale.

Tra fake news e violenza…

Naturalmente la Cina è preoccupata. Ammassa forze speciali ai confini, utilizza termini duri per definire i dimostranti – terroristi -, silenzia i media locali e naturalmente fomenta la teoria di complotti stranieri e finanziamenti esteri alla protesta. Segno di una crescente irritazione, si sospetta anche che Pechino abbia diffuso moltissime fake news non solo attraverso i quotidiani cinesi controllati dalle autorità ma anche attraverso il web, per raggiungere i paesi occidentali – che supportano le proteste – con i social network. Facebook, Twitter e YouTube sono strumenti, se non vietati, comunque posti sotto un iper controllo – in Cina e per diffondere le notizie false è stato utilizzato un altro strumento non accessibile in Cina, le connessioni VPN. Naturalmente le compagnie americane hanno prontamente bloccato questi account fake e i dimostranti di Hong Kong hanno ricevuto ancora più supporto da molti commentatori e osservatori internazionali.

Ciò che preoccupa maggiormente però è la pericolosa piega violenta che hanno preso le proteste nelle ultime settimane. Mentre il movimento, senza leader e che comprende tutti gli strati sociali della popolazione, continua a scusarsi per i disturbi e continua a manifestare pacificamente, la polizia ha iniziato a disperdere i gruppi con gas lacrimogeni e cannoni ad acqua, fino agli spari dello scorso weekend.

Inoltre, dopo alcune settimane di marce pacifiche e di proteste contenuti, gruppi armati e violenti hanno attaccato e intimorito i manifestanti mentre la polizia non reagiva. Ancora non è chiaro a chi facciano riferimento questi gruppi, se alla Triade di Hong Kong, bande di stampo malavitoso che dirigono certi affari della città, o se direttamente al governo centrale. O, come qualcuno ha suggerito, ad entrambi.

Una situazione che sta raggiungendo livelli drammatici ma che vede entrambe le parti coinvolte ferme nelle proprie decisioni. Da una parte una nazione che vuole riprendere il controllo su una penisola ricca e dall’altra una popolazione che vuole difendere i propri diritti, dalla libertà di espressione e pensiero, all’autonomia governativa locale e il suffragio universali. Principi che noi occidentali diamo per scontati, ma che situazioni come queste riportano alla loro fondamentale importanza.

 

di Stefania Grosso

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