K metro 0/Jobsnews – Matera – Aveva 28 anni la donna nigeriana morta in un incendio divampato in uno dei tre capannoni dell’ex complesso industriale “La Felandina” a Metaponto di Bernalda (Matera). La donna, conosciuta come “Petty”, era emigrata in Italia per lavorare e sostenere i due figli minorenni che sono ancora nel loro Paese. Secondo quanto ricostruito dagli
K metro 0/Jobsnews – Matera – Aveva 28 anni la donna nigeriana morta in un incendio divampato in uno dei tre capannoni dell’ex complesso industriale “La Felandina” a Metaponto di Bernalda (Matera). La donna, conosciuta come “Petty”, era emigrata in Italia per lavorare e sostenere i due figli minorenni che sono ancora nel loro Paese. Secondo quanto ricostruito dagli investigatori Petty era arrivata in Italia nel 2015, quando presentò domanda per il permesso di soggiorno alla Questura di Padova che però la respinse. In seguito, aveva fatto ricorso ed era in attesa del responso.
Il capannone dove è stato trovato il cadavere della donna è stato posto sotto sequestro dell’autorità giudiziaria, mentre sono in corso le operazioni di bonifica, che prevedono anche la rimozione di altre bombole di gas. L’esplosione di una bombola carica di gas infatti potrebbe essere stata la causa della morte. E’ questa la principale ipotesi su cui gli investigatori – coordinati dalla pm di Matera Maria Christina De Tommasi e dal questore Luigi Liguori – sono al lavoro dopo aver fatto effettuato le prime verifiche. L’incendio è stato spento dopo quattro ore dai Vigili del fuoco, giunti dai vari presidi della zona: dei tre capannoni, uno – dove è stato trovato il cadavere – è completamente distrutto, gli altri due hanno subito danni minori. I migranti sono ancora all’esterno dei capannoni, in attesa di poter recuperare le proprie cose e di, eventualmente, essere sistemati altrove. Nella struttura ex “Felandina” di Metaponto (Bernalda), in provincia di Matera, vivono abusivamente circa 500 migranti africani, quasi tutti impegnati nelle campagne dell’area al confine tra Basilicata e Puglia, per guadagnare pochi euro a fronte di numerose ore di lavoro. La gran parte di loro ha il permesso di soggiorno, ad alcuni è scaduto. Vivono in condizioni igienico sanitarie precarie, senza corrente elettrica e acqua ed ora sono stati costretti, dopo il rogo, ad abbandonare la struttura.
Angelo Summa, segretario generale Cgil Basilicata: “fare luce sulle responsabilità di chi doveva vigilare”
È inaccettabile che per la risoluzione di una questione aperta sul tema della sicurezza dei braccianti stranieri sul territorio lucano, si debba attendere il verificarsi dell’ennesima tragedia con la perdita di una vita umana” ha scritto in una nota il segretario generale della Cgil Basilicata, Angelo Summa. La Cgil Basilicata ha quindi chiesto “a Regione, Prefettura, Provincia di intervenire in coordinamento per attuare il già approvato e finanziato progetto di accoglienza nella provincia di Matera e in particolare nel Metapontino che permetterebbe di liberare il centro abusivo della Felandina e le relative condizioni disumane a cui sono sottoposti i lavoratori migranti, condizioni che hanno portato via una vita umana proprio questa mattina, nel terribile incendio divampato all’alba. Inoltre – ha concluso Summa – chiediamo alla magistratura di fare luce sulle responsabilità di chi doveva vigilare e non ha fatto nulla per evitare la tragedia”.
“Una morte annunciata”: così don Pasquale Giordano, parroco a Bernalda e responsabile Caritas interparrocchiale definisce, in una intervista a Radio Vaticana Italia, la morte della giovane migrante in Basilicata dopo l’incendio di un capannone. L’area era degradata e “il Demanio che avrebbe potuto rendere più umana, magari impiantando una pompa d’acqua, la vivibilità di quella zona” e non è intervenuto. La comunità ecclesiale, che cerca di aiutare queste persone, “si è attivata per sensibilizzare le istituzioni ma – prosegue don Pasquale – abbiamo trovato indisponibilità dovuta al fatto che le norme attualmente vigenti puntano molto sul favoreggiamento dell’immigrazione clandestina” e quindi, è la conclusione del sacerdote, “ogni azione che si sarebbe potuta compiere per rendere più vivibile quell’area è stata bloccata per la paura di incorrere nella violazione della legge”. Quella della giovane nigeriana, è la conclusione di don Pasquale, “era una morte annunciata”.
Salvatore Adduce, presidente Anci Basilicata: “c’è chi fa finta di non vedere ciò che accade sotto casa nostra”
“È successo sotto casa nostra. La orrenda morte di una donna in un capannone dell’area industriale (mai nata) Felandina, nei pressi di Metaponto, dove sono ammassati centinaia di lavoratori che vengono utilizzati in agricoltura soprattutto in questo periodo di raccolta dei prodotti della terra chiama in causa le responsabilità di ciascuno di noi. Nessuno escluso” sottolinea in una nota Salvatore Adduce, presidente di Anci Basilicata, commentando quanto accaduto a Metaponto. “Siamo incapaci di affrontare in modo adeguato – continua Adduce – i problemi del lavoro e i problemi dei lavoratori migranti a cui comodamente e ipocritamente affidiamo le incombenze più gravose di cui non vogliamo occuparci noi e i nostri figli. Siamo incapaci di fornire sistemazioni adeguate, almeno ispirate ai criteri basilari della sicurezza, alle persone che ci aiutano a raccogliere i frutti dell’agricoltura”. L’atteggiamento riscontrato dal presidente di Anci Basilicata è quello di chi “fa finta di non vedere ciò che accade sotto casa nostra. Insufficienti, siamo insufficienti nonostante le tante parole e anche gli sforzi che pure – conclude – sono stati prodotti in questi anni”.